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Intervista a Francesco Cusa, autore del romanzo "VIC" a cura de "Il Riflettore" - il:2021-12-27

https://www.ilriflettore.it/2021/12/intervista-francesco-cusa-autore-del.html?m=1&fbclid=IwAR39GDKzQmSibMGalPNWhpqNHp-oxbYKTw_DVdKfhEq0yx9hNR22Y8u-5C4

Intervista a Francesco Cusa, autore del romanzo "VIC"

Redazione 27 dicembre

Francesco Cusa è l'autore di "VIC", romanzo uscito per Algra Editore qualche mese fa. Abbiamo apprezzato molto il suo libro, una sorta di diario surreale scritto in prima e terza persona, popolato dai personaggi “estremi” d’una provincia “estrema”: esseri reali e immaginari, vivi e morti, spettri e spiriti che potrebbero essere il frutto di una mente psicotica o del delirio d’un santo. Il centro del romanzo, il suo “senso”, sta forse in questo continuo scavo psicologico e metafisico teso a smascherare il velo del “Tremendo” che pare avvolgere “lynchianamente” la fisica e la morfologia della cittadina di provincia.

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui. Ecco cosa ci ha raccontato.

Qual è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la scrittura?
Ho sempre scritto, fin da giovane. Anche se sono più conosciuto come musicista, questa dello scrittore è per me divenuta una professione da circa una decina di anni, quando ho deciso di rendere pubbliche le mie opere letterarie sotto forma poetica, saggistica, poi esplorando l’aforisma, il racconto ed il romanzo. A spingermi sono stati molti amici e conoscenti. Se ho un rimpianto, forse, è quello di non aver cominciato prima. Poi, certo c’è tutta la mia carriera da musicista, critico letterario e cinematografico ecc.

C’è un libro che, dopo averlo letto, ti ha lasciato addosso la voglia di seguire la strada di scrittore?
Più di uno. Citerei “Il Conte di Montecristo” di Dumas per l’avvincente narrazione, “Viaggio al termine della notte” di Céline per la straordinaria forza della scrittura, “Justine o le disavventure della virtù” di De Sade come manifesto della potenza sacra dell’arte dello scrivere.

Sei scrittore di racconti, romanzi e poesie. A quale dei tuoi libri sei più affezionato?
Forse al mio primo, “Novelle Crudeli”. Probabilmente perché mi sono ispirato per i racconti ad amiche ed amici reali.

“VIC” è il tuo nuovo romanzo pubblicato da Algra Editore. Quali sono le caratteristiche principali del tuo protagonista?
Vic è un ragazzo-uomo maturo-anziano che vive la sua schizofrenica vita di scrittore in un luogo immaginario del Sud dell’Italia: Cotrone. È un personaggio che rappresenta il trauma irriducibile, il caso clinico principe oggetto delle ricerche dei freudiani. Fortunatamente lui se ne sbatte di tali indagini, giacché egli rappresenta il cortocircuito di ogni narrazione clinica volta all’individuazione del caso topico, del “problema” su cui orchestrare la riuscita di un progetto teorico. In questo senso Vic nasce per ridonare all’Occidente l’aura mitica della legge di natura, ciò che prevale rispetto alla legge morale; in buona sostanza per restituire l’uomo alla sua sacralità. Forse è giunto per consentirmi di esplorare alcuni aspetti oscuri della mia coscienza.



Prossimi progetti?
Ho appunto quasi terminato la mia quinta raccolta poetica “Il Giusto Premio”, un nuovo romanzo - “2056” - di natura distopica e fantascientifica, una raccolta di sonetti dal titolo “Rime Sboccate”, un altro saggio dal titolo “L’Orlo Sbavato della Perfezione”.

INTERVISTA a Francesco Cusa per il romanzo "Vic" a cura di “Cavaliere News” - il:2021-12-21

https://cavalierenews.it/cultura/15993/surreale,-perverso,-ambiguo-vic,-il-nuovo-romanzo-di-francesco-cusa-l-intervista.html?fbclid=IwAR0XaV6VRLszN74oPRibzVDPDI_enDO158ndBMgdHCgEHSHCxD5t9dAmkpI

- SURREALE, PERVERSO, AMBIGUO-| VIC, IL NUOVO ROMANZO DI FRANCESCO CUSA: L'INTERVISTA
Dicembre 20, 2021Scritto da Barbara ScardilliPubblicato in CULTURA0 commenti


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Copertina Libro
Copertina Libro
Redazione- In libreria e negli store online “VIC” il nuovo romanzo del batterista, compositore, scrittore catanese Francesco Cusa, pubblicato da Algra Editore.

Ha collaborato con artisti provenienti da varie parti d’Italia e il suo percorso artistico lo porterà a suonare, negli anni, in Europa, America, Asia e Africa. Da sempre interessato all’interdisciplinarità artistica, è anche scrittore di racconti, romanzi e poesie e ha pubblicato diversi articoli di musicologia e di critica cinematografica presso molte riviste specializzate.

Ecco cosa ci ha raccontato:<<

Chi è Francesco Cusa oltre la scrittura?

Dopo il diploma chiesi in regalo una batteria per puro sfizio. Ero in realtà interessato alla scrittura, in quei lontanissimi anni, ma la batteria cominciò ad affascinarmi e a prevalere sulle altre mie aspirazioni. Come musicista, una svolta è stata la mia decisione di trasferirmi da Catania a Bologna alla fine degli anni Ottanta, nella Bologna ancora pregna dell’humus della ricerca e intrisa di fermento. Erano gli anni della “Pantera”, delle lezioni al DAMS con Eco, Nanni, Celati, Clementi, Donatoni, gli anni della nascita di importanti collettivi artistici come quello di “Bassesfere”, di cui sono uno dei fondatori. È parte di un percorso che si dipana fra studi di batteria, concerti con Steve Lacy, Tim Berne, Kenny Wheeler, i tour per ogni dove, la creazione dei miei progetti da leader come “66sixs”, “Skrunch”, “The Assassins”, “Naked Musicians”, fondazione di una label e di un collettivo come Improvvisatore Involontario, l’insegnamento in conservatorio… Bassesfere ha rappresentato simbolicamente il senso del collettivo artistico, ancora prassi e laboratorio in quei fervidi anni. Poi, pian piano, le mie velleità di scrittore e critico sono tornate e adesso convivono amorevolmente col mio essere musicista.

Ci parli del tuo ultimo romanzo “VIC”? Qual è l’idea che ti ha portato a scrivere questa storia?

Vic è un ragazzo-uomo maturo-anziano che vive la sua schizofrenica vita di scrittore in un luogo immaginario del Sud dell’Italia: Cotrone. È un personaggio che rappresenta il trauma irriducibile, il caso clinico principe oggetto delle ricerche dei freudiani. Fortunatamente lui se ne sbatte di tali indagini, giacché egli rappresenta il cortocircuito di ogni narrazione clinica volta all’individuazione del caso topico, del “problema” su cui orchestrare la riuscita di un progetto teorico. In questo senso Vic nasce per ridonare all’Occidente l’aura mitica della legge di natura, ciò che prevale rispetto alla legge morale; in buona sostanza per restituire l’uomo alla sua sacralità. Forse è giunto per consentirmi di esplorare alcuni aspetti oscuri della mia coscienza.

Da quale idea nasce la copertina del tuo nuovo romanzo?

È un disegno di Pier Marco Turchetti, uno straordinario intellettuale e un fantastico artista. Lui racchiude la Sapienza come la si può intendere oggi, nell’era della parcellizzazione dei saperi. Siamo molto amici, e spesso lui è il supervisore delle mie opere in fase di stesura. Cosicché mi ha sottoposto dei suoi disegni e, immediatamente, ho trovato questa tavola perfetta per il romanzo. Il perché di tale aderenza è compito che riservo al lettore di constatare.

Se dovessi utilizzare tre aggettivi per definire “VIC”, quali useresti?
Surreale, perverso, ambiguo.

Per Algra Editore hai pubblicato “Stimmate” (2018) e “Il surrealismo della pianta grassa” (2019). Ci presenti brevemente questi libri.

“Stimmate”è una raccolta poetica, la mia seconda della quattro finora edite. Si tratta di un lavoro concettuale molto certosino, suddiviso in ben tre sezioni: Stimmate, Rime Sbavate e Rizoma che, come ha ben scritto il critico Patrizio De Santis, comprendono il tema del radicamento: “La radice è il punto focale di tutta la struttura di questa opera poetica, e si tratta in verità di un rizoma lirico invisibile, poiché nella concezione spirituale e essenziale dell’Essere come parte della Radice regna l’invisibile, che è al di là del reale. Sono odi e canti profondamente visionari, pervasi di un aspetto mistico, come ci suggerisce l’eponimo titolo che svetta sulla copertina del libro, dove si intravede una mano metallica e virtuale attraversata da un foro che sta ad indicare la passione del Cristo. Lettura veloce, non complessa ma cantabile e musicale”.

“Il Surrealismo della Pianta Grassa” è una sorta di pamphlet, di zibaldone che riassume tutti i generi letterari in cui mi sono cimentato: la poesia, il racconto, il piccolo saggio, l’aforisma… una sorta di diario romanzesco e picaresco delle mie avventure nel mondo. Altamente consigliato.

Stai già scrivendo un nuovo libro? Puoi anticiparci qualcosa?

Ho appunto quasi terminato la mia quinta raccolta poetica “Il Giusto Premio”, un nuovo romanzo - “2056” - di natura distopica e fantascientifica, una raccolta di sonetti dal titolo “Rime Sboccate”, un altro saggio dal titolo “L’Orlo Sbavato della Perfezione”.>>.

Intervista sul mio romanzo "Vic" a cura di "Idea Magazine" - il:2021-12-17

http://lideamagazine.com/ero-in-realta-interessato-alla-scrittura-ma-pian-piano-il-morbo-della-batteria-ha-prevalso-in-quei-lontanissimi-anni-intervista-esclusiva-con-francesco-cusa/?fbclid=IwAR0HjIM3PaW_-bCQxjyku9GcdzkXtE6aGsPnvxV9qoTAiAH4dMRkXxK2Rlo

“Ero in realtà interessato alla scrittura, ma pian piano il morbo della batteria ha prevalso, in quei lontanissimi anni…” Intervista esclusiva con Francesco Cusa

By
Tiziano Thomas Dossena
16 December 2021


Francesco Cusa, batterista, compositore, scrittore, nasce a Catania nel 1966. Si trasferisce a Bologna nel 1989, dove si laurea al Dams nel 1994. Il suo percorso artistico lo porterà a suonare, negli anni, in Europa, America, Asia e Africa. Da sempre interessato all’interdisciplinarità artistica, è anche scrittore di racconti, romanzi e poesie.

L’Idea Magazine: Buongiorno Francesco. Allora, tu hai iniziato i tuoi studi musicali con il piano, poi sei invece passato alla batteria. Che cosa ti ha spinto al cambiamento?
Francesco Cusa: È stato del tutto casuale, giacché dopo il diploma chiesi in regalo una batteria per puro sfizio. Ero in realtà interessato alla scrittura, ma pian piano il morbo della batteria ha prevalso, in quei lontanissimi anni.

L’Idea Magazine: Da Bologna, dove ti sei laureato, il tuo percorso artistico ti ha portato in molte parti del mondo. Lo hai fatto sempre con il collettivo bolognese “Bassesfere”?
Francesco Cusa: Certamente, come musicista, una svolta è stata la mia decisione di trasferirmi da Catania a Bologna alla fine degli anni Ottanta, nella Bologna ancora pregna dell’humus della ricerca e intrisa di fermento. Erano gli anni della “Pantera”, delle lezioni al DAMS con Eco, Nanni, Celati, Clementi, Donatoni, gli anni della nascita di importanti collettivi artistici come quello di “Bassesfere”, di cui sono uno dei fondatori. È parte di un percorso che si dipana fra studi di batteria, concerti con Steve Lacy, Tim Berne, Kenny Wheeler, i tour per ogni dove, la creazione dei miei progetti da leader come “66sixs”, “Skrunch”, “The Assassins”, “Naked Musicians”, fondazione di una label e di un collettivo come Improvvisatore Involontario, l’insegnamento in conservatorio… Bassesfere ha rappresentato simbolicamente il senso del collettivo artistico, ancora prassi e laboratorio in quei fervidi anni.

L’Idea Magazine: Potresti parlarci del progetto artistico “Improvvisatore Involontario”?
Francesco Cusa: Improvvisatore Involontario nasce da una duplice esigenza. Da un lato la necessità di produrre musica senza dover “dipendere” dalle scelte di altre label (o dagli eventuali rifiuti). Dall’altra da una passione viscerale per le musiche contemporanee, nel tentativo di fare emergere ciò che continuerei a definire “underground”, senza tema di smentita. Per molti anni siamo stati un collettivo aperto, e abbiamo avuto decine e decine di iscritti da tutto il mondo. Poi, dopo esperienze memorabili, quale l’organizzazione di un tour americano e di tantissime rassegne, abbiamo deciso di esistere in quanto label, attualmente gestita da me, Mauro Medda e Paolo Sorge.


fc and the assassins
L’Idea Magazine: In questo momento fai parte di vari gruppi jazzistici…
Francesco Cusa: Attualmente sono leader dell’FCT TRIO con Tonino Miano e Riccardo Grosso, del FRANCESCO CUSA & THE ASSASSINS con Domenico Caliri, Giovanni Benvenuti, Ferdinando Romano, dell’ensemble: “NAKED MUSICIANS”, del progetto di sonorizzazione di film d’epoca “SOLOMOVIE”, dello spettacolo “DRUMS & BOOKS”, co-leader dei THE LENOX BROTHERS (Cusa/Mimmo/Martino) dei “THE BLACK SHOES” in duo con la flautista Giorgia Santoro, e dello spettacolo musical-teatrale “MOLESTA CRUDELTÀ”. in trio batteria e voce insieme alle attrici Alice Ferlito e Laura Giordani. Il mio Naked Musicians” è un metodo di conduction musicale che è stato realizzato in varie parti del mondo e da cui è stato tratto anche un libro di teoria musicale sulla “conduction”, chiamato, appunto “Naked Performers”.

L’Idea Magazine:Il tuo NAKED PERFORMERS: “Elementi di Conduction” è un libro di teoria musicale. A che cosa fa riferimento?
Francesco Cusa: Naked Musicians è una forma di orchestrazione e direzione dell’improvvisazione collettiva, che rinforza il sottile legame fra la tradizione della musica classica e quella del jazz creando uno spazio intermedio tra la notazione e l’improvvisazione, nonché permettendo l’acquisizione di nuove competenze e prospettive. Tramite ciò è possibile identificare e sfruttare i punti deboli e quelli di forza di entrambi e rappresentare le limitazioni che hanno fra loro. Naked Musicians è un vocabolario di segni ideografici e gesti utilizzati per costruire un arrangiamento o una composizione in tempo reale. Ogni simbolo trasmette informazioni per l’interpretazione da parte del musicista o del collettivo in modo da dare le possibilità di modificare armonie, melodie, ritmi, articolazioni, un fraseggio o forme.

L’Idea Magazine: Componi anche musica, mi pare…
Francesco Cusa: Sì certo, da sempre.

L’Idea Magazine:Nella composizione di brani musicali, chi è stato il musicista che ti ha influenzato di più?
Francesco Cusa: Tim Berne senza dubbio, ma come non citare anche Zappa, Bartok, la musica seriale, ecc. In Italia sono stato fortunato ad avere studiato con Alfredo Impullitti e Domenico Caliri.

L’Idea Magazine: Insegni anche al Conservatorio di Reggio Calabria, dopo molti anni di insegnamento presso i conservatori di Benevento, Monopoli, Frosinone, Lecce. Trovi una differenza sostanziale nell’insegnare la batteria jazz con, per esempio, la batteria rock and roll?
Francesco Cusa: Nella sostanza no. Nella forma ci sono sostanziali differenze che occorre focalizzare al fine di “liberare” l’allievo dalle dipendenze dei vari stili.

L’Idea Magazine: Oltre alla musica, tu hai anche avuto molte esperienze letterarie. Di che cosa tratta il tuo primo libro, “Novelle crudeli” (2014)?
Francesco Cusa: Mi piace riportare i pareri di alcuni lettori che rispecchiano le mie intenzioni: “Uomini incompresi ma compiaciuti di essere portati sul baratro della routine di coppia, personaggi ambigui, logorroici, consapevoli della propria bruttezza o della disonestà delle proprie azioni. In questo ritmo spasmodico denso di caratteri a volte molto differenti tra loro, trascende una lucida consapevolezza della condizione umana, con i difetti e le virtù che la contraddistinguono, e la “crudeltà” nel titolo, non estromette il lirismo che tra le righe si riesce a cogliere. Non vi aspettate banalità ma lasciatevi trasportare da una disperata follia in cui, con fascino dissacrante, la morte corporale o spirituale, denota in verità un cambiamento, l’inizio di una mutata esistenza”.
“Francesco ama le donne. Donne cantate e musicate nelle sue novelle. Donne dai diversi ritratti psicologici che non si stanca di sottolineare. Incedono con i loro vestiti, talvolta macchiati di sangue, in un tramonto colmo di liberazione. Nei suoi racconti è presente sempre il lato oscuro del dolore. Il dolore agghiacciante, terribile, squarciante come lama sottile. Il dolore narrato, il dolore indicibile… “è forse questo canto, questa tenue melodia che nella notte si fa strada vezzosamente una carezza di mia madre …”

L’Idea Magazine: Con “Racconti molesti” del 2017 che intenzioni avevi?
Francesco Cusa: Dopo la crudeltà sentivo il bisogno di esplorare il territorio della molestia. Come qualcuno ha ben scritto a proposito del libro: “è un libro in cui ci sono ‘amore’, ‘donne’, ‘esseri sovrannaturali’ e – ovviamente − l’Autore, ma − essendo un libro di racconti molesti − nessuno dei summenzionati è come ci si aspetterebbe, o si desidererebbe”. Amo costruire trappole semantiche in cui far precipitare il lettore. Sono alla ricerca di un senso nell’assurdo, per tale ragione ordisco tranelli, utilizzando magari una trama particolarmente accattivante, ma sempre con lo scopo di escogitare un trucco che rimanda sempre a un altrove rispetto alla trama.

L’Idea Magazine: Di che cosa tratta “Stimmate”, il tuo libro del 2018?
Francesco Cusa: È una raccolta poetica, la mia seconda delle quattro finora edite. Si tratta di un lavoro concettuale molto certosino, suddiviso in ben tre sezioni: Stimmate, Rime Sbavate e Rizoma che, come ha ben scritto il critico Patrizio De Santis, comprendono il tema del radicamento: “La radice è il punto focale di tutta la struttura di questa opera poetica, e si tratta in verità di un rizoma lirico invisibile, poiché nella concezione spirituale e essenziale dell’ Essere come parte della Radice regna l’ invisibile, che è al di là del reale. Sono odi e canti profondamente visionari, pervasi di un aspetto mistico, come ci suggerisce l’eponimo titolo che svetta sulla copertina del libro, dove si intravede una mano metallica e virtuale attraversata da un foro che sta ad indicare la passione del Cristo. Lettura veloce, non complessa ma cantabile e musicale”.

L’Idea Magazine:Altro libro importante della tua carriera letteraria è “Il surrealismo della pianta grassa” (2019). Che argomento tocca?
Francesco Cusa: è una sorta di pamphlet, di zibaldone che riassume tutti i generi letterari in cui mi sono cimentato: la poesia, il racconto, il piccolo saggio, l’aforisma… una sorta di diario romanzesco e picaresco delle mie avventure nel mondo. Altamente consigliato.

L’Idea Magazine:È da poco uscito in libreria il tuo ultimo romanzo, “Vic”. Potresti parlarcene?
Francesco Cusa: Vic è un ragazzo-uomo maturo-anziano che vive la sua schizofrenica vita di scrittore in un luogo immaginario del Sud dell’Italia: Cotrone. È un personaggio che rappresenta il trauma irriducibile, il caso clinico principe oggetto delle ricerche dei freudiani. Fortunatamente lui se ne sbatte di tali indagini, giacché egli rappresenta il cortocircuito di ogni narrazione clinica volta all’individuazione del caso topico, del “problema” su cui orchestrare la riuscita di un progetto teorico. In questo senso Vic nasce per ridonare all’Occidente l’aura mitica della legge di natura, ciò che prevale rispetto alla legge morale; in buona sostanza per restituire l’uomo alla sua sacralità. Forse è giunto per consentirmi di esplorare alcuni aspetti oscuri della mia coscienza.

L’Idea Magazine:Stai lavorando ad altri romanzi al momento?
Francesco Cusa: Ho appena terminato il mio ultimo romanzo, “2056”, ambientato appunto in un futuro distopico, di cui preferisco non rivelare nulla. Spero di trovare una casa editrice per farlo uscire nel 2022. Inoltre, ho già pronte altre due raccolte poetiche che, per ora, sto tenendo nel cassetto.

L’Idea Magazine: La tua attività di musicista continua nonostante il Covid o ne ha sofferto molto?
Francesco Cusa: Naturalmente abbiamo sofferto tutti, adesso stiamo pian piano riprendendo a suonare con continuità.

L’Idea Magazine: Sogni nel cassetto?
Francesco Cusa: Vedere che succederà nel 2056 e riavere indietro i miei capelli.

L’Idea Magazine: Se dovessi definirti con tre aggettivi, quali sarebbero?
Francesco Cusa: Ambiguo, straniante, generoso.

L’Idea Magazine:Se avessi l’opportunità di poterti incontrare con un personagiio del passato o del presente, qualsiasi persona, chi sarebbe e che cosa vorresti chiedere?
Francesco Cusa: Certamente Socrate. Gli direi se, alla luce dei fatti ai giorni nostri, sceglierebbe ancora di bere la cicuta.

L’Idea Magazine:Un messaggio per i nostri lettori?
Francesco Cusa: Seguite sempre i vostri deliri, non accontentatevi mai, dubitate sempre e… comprate i miei libri!

Recensione di Gabriele Ottaviani per il mio romanzo “Vic” - il:2021-12-14

https://convenzionali.wordpress.com/2021/12/11/vic/?fbclid=IwAR0gx9TpRikgXI-ROg8cmdTY-_9GOEIzgL0XDlL4nXRm3zbBcynjIJKhqS4

di Gabriele Ottaviani

Riuscii a convincere Luisella promettendole una notte bollente e tutta dedicata alla sodomia…

Vic, Francesco Cusa, Algra editore. In una città fittizia del meridione italiano, Vic, scrittore dall’esistenza perlomeno schizofrenica, che probabilmente manderebbe in solluchero il genio di David Lynch, vive la propria esistenza, che descrive in prima e in terza persona in questa sorta di diario surreale in cui esseri reali e immaginari si alternano in un continuo gioco delle parti e di specchi in cui si riverberano l’alienazione della contemporaneità e la fragilità della condizione dell’uomo che non si riconosce nel mondo che lo circonda e a cui propone momento dopo momento un volto differente: intrigante.

Intervista per latinista "My Dreams" sul mio romanzo "Vic" - il:2021-12-14

https://www.mydreams.it/francesco-cusa-e-il-suo-nuovo-romanzo-dal-titolo-vic/?fbclid=IwAR2EZa2_zR1ru2NAYZM5YrWxsC_sM9q0INSarP5313Qkv4fBims0JWl9yt4

È disponibile in libreria e negli store online Vic, il nuovo romanzo di Francesco Cusa, pubblicato da Algra Editore, con la prefazione di Massimo Cracco e la postfazione di Giuseppe Paolo Carbone.

Il protagonista del romanzo è un ragazzo-uomo maturo-anziano che vive la sua vita di scrittore a Cotrone, un paese immaginario del Sud dell’Italia. L’autore così racconta: «Il personaggio rappresenta il trauma irriducibile, il caso clinico principe oggetto delle ricerche freudiane. Fortunatamente a lui non interessano tali indagini giacché egli rappresenta il corto circuito di ogni narrazione clinica volta all’individuazione del caso topico. In questo senso Vic nasce per ridare all’Occidente l’aura mitica della legge di natura che prevale rispetto alla legge morale; in buona sostanza per restituire l’uomo alla sua sacralità».

Francesco Cusa e il suo nuovo romanzo dal titolo “Vic” (copertina vic di francesco.cusa 200x300)

La copertina del libro è un disegno del musicista e filosofo Pier Marco Turchetti. L’autore del romanzo in proposito ha detto: «Quando me l’ha mostrata ho sentito da subito che si trattava di quella giusta. Era un suo lavoro di molti anni fa che, a mio avviso, riassume nello spazio di un disegno tutta la vicenda umana e sovrumana del romanzo”.

Il romanzo, ben scritto ed orchestrato è una sorta di diario intimo e surreale scritto sia in prima che in terza persona, popolato da personaggi quanto mai atipici ed estremi, calati in una realtà provinciale densa di pregiudizi e stonature.



Molte donne compaiono a cominciare dalla madre di Vic, Giuditta Criscimanno, per la quale il protagonista non nutre alcun affetto filiale a cui seguono sua zia Melania e Sally e Luisella con le quali Vic ha un rapporto molto contrastato intriso di amore e odio.

Per Vic conta forse maggiormente il sentimento di amicizia che lo lega a personaggi maschili che rasentano modelli estremi quali il suo stesso padre, il Piccolo Priebke, Marcello, Gianni, Vittorino ovvero lo scemo del paese.

Spesso il protagonista confonde personaggi reali ed immaginari, vivi e morti, spettri e spiriti che potrebbero essere frutto della sua immaginazione o proiezioni della sua psiche fragile e malata.

Numerosi i tentativi di incipit del romanzo stesso, sottoposti al giudizio di un fantomatico Editore che, a seconda dei casi, lo incoraggia o lo stronca. E sulle vicende narrate da Vic incombe una provincia ottusa, desolata, informe e perversa.

Lei è un rinomato batterista e compositore. Come e quando si è avvicinato alla scrittura?

«Ho sempre scritto, fin da giovane. Anche se sono più conosciuto come musicista, questa dello scrittore è per me divenuta una professione da circa una decina di anni, quando ho deciso di rendere pubbliche le mie opere letterarie sotto forma poetica, saggistica, poi esplorando l’aforisma, il racconto ed il romanzo. A spingermi sono stati molti amici e conoscenti. Se ho un rimpianto, forse, è quello di non aver cominciato prima. Poi, certo c’è tutta la mia carriera da musicista, critico letterario e cinematografico ecc».

Quali autori italiani o stranieri l’hanno affascinata?

«Ne cito alcuni limitandomi ai romanzieri: De Sade, Hugo, Bernhard, Dante, Carver, Roth, Dostoevskij, Nabokov, Gadda, Proust, Flaubert, Kafka, Landolfi, ecc. Ultimamente leggo molta più saggistica, e mi interesso di filosofia ed esoterismo: Wirth, Sloterdijk, Zizek, Knight, Preve, Byung-chul Han, Spinoza, Thoreau, ecc».



Il suo ultimo romanzo si intitola Vic. Ce ne vuole raccontare brevemente la genesi?

«I personaggi di solito mi si presentano e impongono la loro necessità ad esistere, ad essere partoriti. Vic è un ragazzo-uomo maturo-anziano che vive la sua schizofrenica vita di scrittore in un luogo immaginario del Sud dell’Italia: Cotrone. È un personaggio che rappresenta il trauma irriducibile, il caso clinico principe oggetto delle ricerche dei freudiani. Fortunatamente lui se ne sbatte di tali indagini, giacché egli rappresenta il cortocircuito di ogni narrazione clinica volta all’individuazione del caso topico, del “problema” su cui orchestrare la riuscita di un progetto teorico. In questo senso Vic nasce per ridonare all’Occidente l’aura mitica della legge di natura, ciò che prevale rispetto alla legge morale; in buona sostanza per restituire l’uomo alla sua sacralità. Forse è giunto per consentirmi di esplorare alcuni aspetti oscuri della mia coscienza».

Chi o cosa l’ha ispirata nella creazione di questo personaggio grottesco e surreale?

«Come sempre nelle mie opere, sia letterarie che musicali, cerco di muovere le coscienze verso aspetti primari del fondamento dell’essere. Che un romanzo nel 2021 posta destare ancora fastidio, disturbo, perturbamento, trovo sia paradossalmente sano, nella società della prestazione, che produce per converso legioni di depressi, di assuefatti che vegetano ai margini di una protesta che non può più esprimersi in un limbo di soggettività deprivate di immaginario e visionarietà. In questo senso Vic è un personaggio negativo che si oppone alla positività priva di limiti (e perciò logorante) della normalizzazione, l’ultimo baluardo identitario contro l’omologazione».

Quanto di lei c’è in Vic?

«Tutto, poco, niente. Vic si muove nel paradosso della sua vita sregolata e la sua traiettoria incrocia quella del microcosmo di Crotone, invischiando in una ragnatela tutti i personaggi del romanzo. In un certo senso egli è una sorta di santo, di martire, e come tutti i martiri è spinto fino agli estremi del sacrificio in virtù di una visionarietà che non conosce, appunto, limiti terreni. Cotrone è un non-luogo, una specie di realtà morfologica alienata, un limbo posto fuori o sul limitare del Divenire in cui si muovono i protagonisti del romanzo (della mente di Vic, di quella dell’autore). È tutta una periferia di qualcosa, una palude metafisica in cui i morti paiono più vivi dei vivi. Forse mi riconosco in questa esplorazione del limite, inteso più in chiave spirituale che materico-corporale, nella costante ricerca della relazione tra mondo dei vivi e mondo dei morti».

Le figure femminili che compaiono nel romanzo (Giuditta, zia Melania, Sally, Luisella) sono esasperate, sopra le righe. Qual è il vero rapporto di Vic con le donne? E lei, Francesco cosa pensa delle donne?

«Delle donne penso più o meno quel che penso degli uomini. Dipende, naturalmente, con chi mi trovo ad aver a che fare. Lo sguardo del/sul mondo femminile di Vic è uno sguardo proustiano, autocentrato. Il mondo di Vic non prevede l’Altro se non come eterna riproposizione del Sé, di mistica, costante autoanalisi che inferisce e determina l’incontro con gli altri esseri che vivono in qualità di ombre e parvenze».

Vic sente prepotente il valore dell’amicizia tanto da frequentare anche Vittorino, lo scemo del paese immaginario di Cotrone. Lei crede nel valore dell’amicizia?

«Penso sia uno dei valori più nobili che ci è dato di sperimentare in vita. L’amicizia è per Vic forse l’unico elemento che lo tiene aggrappato al mondo fisico, che riesce ancora a contenere la follia entro argini tollerabili. Gli amici veri di Vic sono i vinti, i reietti, i “ragazzi fuori”, la “forza del passato” pasoliniana».

A quale genere letterario ascriverebbe il suo romanzo?

«Romanzo d’appendicite».

Quale capitolo o personaggio ha richiesto una maggiore attenzione durante la scrittura? E a quali di essi si sente più legato per affinità elettiva?

«Nessuno in particolare – e con ciò rispondo ad entrambe le domande – essendo il mio modo di scrivere legato al flusso. Ogni capitolo è una parte fondamentale del puzzle. Non c’è un centro, un focus, neanche nel finale. Ci sono stati, certo, vari punti nodali; su tutti il continuo sfalsamento tra la prima e la terza persona. Inoltre, tenere insieme tutti i pezzi di questo che è un vero e proprio puzzle psicologico, è stata impresa ardua. Ma sono molto soddisfatto e sorpreso del risultato finale, dell’architettura complessa ma al contempo scorrevole del romanzo. Quella dello sfalsamento dialettico tra narrazione in prima e in terza persona è stata una scommessa, a mio giudizio, vinta».

Il romanzo contiene molti incipit che Vic sottopone al suo Editore. Ne scriverebbe uno, brevissimo, per Mydreams?

«Mi svegliai una notte di soprassalto. Erano le quattro. Gli occhi che mi fissavano nel buio non erano quelli del mio gatto».

Cosa vuole trasmettere questo romanzo ai lettori?

«Come sempre nelle mie opere, sia letterarie che musicali, cerco di muovere le coscienze verso aspetti primari del fondamento dell’essere. Che un romanzo nel 2021 posta destare ancora fastidio, disturbo, perturbamento, trovo sia paradossalmente sano, nella società della prestazione, che produce per converso legioni di depressi, di assuefatti che vegetano ai margini di una protesta che non può più esprimersi in un limbo di soggettività deprivate di immaginario e visionarietà. In questo senso Vic è un personaggio negativo che si oppone alla positività priva di limiti (e perciò logorante) della normalizzazione, l’ultimo baluardo identitario contro l’omologazione».

La mia intervista per “Affari Italiani” sul mio romanzo “Vic”. - il:2021-12-04

Francesco Cusa presenta il romanzo “Vic”. L’intervista
https://www.fattitaliani.it/2021/12/francesco-cusa-presenta-il-romanzo-vic.html?m=1&fbclid=IwAR2-V8dBz-AwVxGWPOhDj1-Dp9OJN7lnh86-IftiHr5TuCuKceQKJnN-OxA

Francesco Cusa, batterista, compositore, scrittore. Ha collaborato con artisti provenienti da varie parti d’Italia e il suo percorso artistico lo ha portato a suonare, negli anni, in Europa, America, Asia e Africa. Da sempre interessato all’interdisciplinarità artistica, è anche scrittore di racconti, romanzi e poesie e ha pubblicato diversi articoli di musicologia e di critica cinematografica presso molte riviste specializzate.
“VIC” è il suo nuovo romanzo pubblicato da Algra Editore, con la prefazione di Massimo Cracco e la postfazione di Giuseppe Paolo Carbone.

Ecco cosa ci ha raccontato. Buona lettura!

Ciao Francesco, benvenuto. Raccontaci un po’ di te. Quali sono le tappe più importanti del tuo percorso da musicista e scrittore?

Difficile riassumerle. Ci provo. Certamente, come musicista, una svolta è stata la mia decisione di trasferirmi da Catania a Bologna alla fine degli anni Ottanta, nella Bologna ancora pregna dell’humus della ricerca e intrisa di fermento. Erano gli anni della “Pantera”, delle lezioni al DAMS con Eco, Nanni, Celati, Clementi, Donatoni, gli anni della nascita di importanti collettivi artistici come quello di “Bassesfere”, di cui sono uno dei fondatori. Poi di certo gli studi di batteria, la fondazione di una label e di un collettivo come Improvvisatore Involontario, i concerti con Steve Lacy, Tim Berne, Kenny Wheeler, i tour per ogni dove, la creazione dei miei progetti da leader come “66sixs”, “Skrunch”, “The Assassins”, “Naked Musicians”, l’insegnamento in conservatorio… Come scrittore, beh ho sempre scritto, anche se sono più conosciuto come musicista. Da una decina d’anni ho deciso di pubblicare i miei scritti che spaziano dalla saggistica, alla poesia, al racconto e al romanzo. A spingermi sono stati molti amici e conoscenti. Se ho un rimpianto, forse, è quello di non aver cominciato prima.

Da dove è nata l’ispirazione che ti ha spinto a scrivere "VIC", il tuo nuovo romanzo?

I personaggi di solito mi si presentano e impongono la loro necessità ad esistere, ad essere partoriti. Vic è un ragazzo-uomo maturo-anziano che vive la sua schizofrenica vita di scrittore in un luogo immaginario del Sud dell’Italia: Cotrone. È un personaggio che rappresenta il trauma irriducibile, il caso clinico principe oggetto delle ricerche dei freudiani. Fortunatamente lui se ne sbatte di tali indagini, giacché egli rappresenta il cortocircuito di ogni narrazione clinica volta all’individuazione del caso topico, del “problema” su cui orchestrare la riuscita di un progetto teorico. In questo senso Vic nasce per ridonare all’Occidente l’aura mitica della legge di natura, ciò che prevale rispetto alla legge morale; in buona sostanza per restituire l’uomo alla sua sacralità. È giunto per consentirmi di esplorare alcuni aspetti oscuri della mia coscienza.


Cosa vorresti che il lettore riuscisse a comprendere leggendo il tuo libro?
Come sempre nelle mie opere, sia letterarie che musicali, cerco di muovere le coscienze verso aspetti primari del fondamento dell’essere. Che un romanzo nel 2021 posta destare ancora fastidio, disturbo, perturbamento, trovo sia paradossalmente sano, nella società della prestazione, che produce per converso legioni di depressi, di assuefatti che vegetano ai margini di una protesta che non può più esprimersi in un limbo di soggettività deprivate di immaginario e visionarietà. In questo senso Vic è un personaggio negativo che si oppone alla positività priva di limiti (e perciò logorante) della normalizzazione, l’ultimo baluardo identitario contro l’omologazione.

Recentemente è uscito per Robin Edizioni, “Il mondo chiuso” una raccolta di poesie. Cosa puoi dirci a riguardo?

La poesia è un’altra via espressiva, forse la più vicina alla dimensione del Sacro. “Il Mondo Chiuso” è la mia quarta raccolta poetica e fa parte di alcuni cicli della mia vita. Ogni testo racconta, forse sarebbe meglio dire canta, del mio sentire nel mondo. La dimensione poetica rappresenta per me la rottura dei codici semantici, una vera e propria immersione nel greto del fiume, dove ogni parola scivola e fluisce per perdersi nell’oceano dell’ultraterreno. “Il Mondo Chiuso” chiude, appunto, una fase e ne apre un’altra che è già parte della mia nuova raccolta di poesie: “Il Giusto Premio”.

Sei scrittore di racconti, romanzi e poesie. Tra i libri che hai scritto qual è il tuo preferito e perché?

Forse la mia prima raccolta di racconti, “Novelle Crudeli”, per ragioni legate all’emozione del mio primo libro. Per il resto è difficile scegliere, come chiedere a una madre quale figlio preferisce. Di certo mi sento di consigliare “Vic” e il saggio “Il Surrealismo della Pianta Grassa”.

Hai nuovi progetti in vista? Stai scrivendo un nuovo libro? Stai producendo un nuovo album?

Non conosco crisi creativa! Ho appunto quasi terminato la mia quinta raccolta poetica “Il Giusto Premio”, un nuovo romanzo - “2056” - di natura distopica e fantascientifica, una raccolta di sonetti dal titolo “Rime Sboccate”, un altro saggio dal titolo “L’Orlo Sbavato della Perfezione”. Per ciò che concerne l’ambito musicale, sarà in uscita per Leo Records il cd in quartetto con Tonino Miano, Brian Groder, Riccardo Grosso e il sottoscritto, e dovrò andare a breve in studio per registrare il mio nuovo cd in trio, sempre con Tonino Miano e Riccardo Grosso, e con il mio quartetto “The Assassins”, per un lavoro di riarrangiamento delle sigle dei cartoni animati anni Ottanta, cui tengo molto.

Recensione di "Vic" a cura di Massimo Fazio, per "Sicily Mag" - il:2021-11-26

https://www.sicilymag.it/francescocusa-e-il-non-senso-della-vita-di-vic-tra-realta-e-allucinazione.htm?fbclid=IwAR08vUO6-TT99m7tmIgXSPM44PHFEYQPYUEtlX_uyG-vVzf4Cj0EJco7hnc

Francesco Cusa e il “non senso” della vita di “Vic”, tra realtà e allucinazione
Salvatore Massimo Fazio 26 Novembre 2021 16:56
LIBRI E FUMETTI La notevole produzione letteraria del musicista e docente catanese di musica, raccoglie riconoscimenti ed encomi grazie ad una semina architettata e diversa da tutto. "Vic", edito da Algra, è una riflessione sul vivere, sul suo non senso che si scompone e si dilata in una impalpabile nebbia. E' anche un'impertinente e spregiudicata accusa al mondo, alle sue ripetitive cadenze, alle sue commedie familistiche

Negli ultimi tre anni il batterista catanese Francesco Cusa – non solo musicista ma anche compositore, poeta, scrittore, e da un mese titolare di cattedra al conservatorio “Francesco Cilea” di Reggio Calabria -, dopo una carriera da ma musicista tout-court -, trascorsa suonando in più formazioni jazz, con nomi altisonanti della scena mondiale che si livellano alla sua maestria, carriera che lo ha visto fondare il collettivo Improvvisatore involontario e insegnare e sfornare talentosi giovani batteristi -, da qualche anno sta producendo tantissimo in scrittura. Una scrittura che poco alla volta lo ha portato sulle vette di premi di risonanza non indifferenti, con alcuni colpi di scena realizzatisi la scorsa estate. A Etnabook, festival internazionale del libro e della cultura di Catania, Cusa nelle vesti di poeta si è aggiudicato ben 3 posizioni – la prima, la seconda e la quinta – nella #top5 della sezione Poesia. Due sono le uscite editoriali degli ultimi 3 mesi, di queste vi raccontiamo “Vic” (pp. 170, € 14,00, Algra Editore, 2021), che annovera due prestigiose penne ospiti, Massimo Cracco che ha curato la prefazione, e Giuseppe Carbone che ha curato la postfazione.

“Vic” è un romanzo ambientato a Crotone, una cittadina ai margini, rimasta indietro, che gira a vuoto staccata dalla cosiddetta “modernità”. Francesco Cusa ne scandaglia le ombre e trova l’abbaglio di una luce che vuole essere universalizzata, che mette a nudo le esistenze dei crotonesi e la nostra stessa vita, vite di lottatori alla fine sempre sconfitti: in fondo, ma non troppo nel fondo, Vic è una riflessione sul vivere, sul suo non senso che si scompone e si dilata in una impalpabile nebbia; ma Vic è anche impertinente e spregiudicata accusa al mondo, alle sue ripetitive cadenze, alle sue commedie familistiche: in questo romanzo psichedelico, anche l’amore è declassato a noia, rassegnato adattamento. Ma chi è Vic? Vic è un aspirante scrittore che, dopo mille fallimentari tentativi, dopo esasperanti rifiuti del suo editore, finalmente trova una storia che lo convince, la storia della sua stessa vita: Vic è Vic che parla di sé, la strada imboccata da Francesco Cusa è quella di una ‘geniale circuitazione’ come si legge nella prefazione del libro.

Ma dunque cos’è la vita di Vic? E’ realtà e allucinazione: Vic vive con i genitori ma anche dopo la loro morte, quando non sono che spettri grotteschi e angosciosi, Vic si aggroviglia alle gambe di donne affascinanti, viziose o nevrotiche, irrimediabilmente ossessionato dai loro corpi, e poi ci sono gli amici di Vic, Gianni, Piccolo Priebke, Marcello, anche loro sono presenze in carne e ossa e poi visioni soprannaturali, quasi psicotiche.

La lingua di Francesco Cusa è ficcante, fluida è irriverente, pregna di lirismi e di bassezze, nella sua musicalità ha uno dei suoi indubitabili pregi, un punto di presa per le sregolatezze e le trasgressioni che veicola, una lingua che è impronta negativa del vivere, che ne svela la sconcia nudità: un vivere che pur affascinante nella sua scommessa, si ritrova svuotato di certezze e significati assoluti. Questo fa dell’autore un personaggio che si è affermato ormai a pieno titolo nel firmamento letterario, parallelizzando la sua attività culturale a quella artistica musicale, in maniera magistrale, arte in cui lo si riconosce deus ex machina di sperimentazioni riuscite che lo hanno tenuto per molto tempo in quel proverbio che tanto potrebbe infastidire, nemo propheta im pàtria, ma del quale Cusa sembra essersi disinteressato. Chi semina bene raccoglierà e lui ha già cominciato a farlo anche in “patria”.

La capacità di non arrendersi, non per imporsi nelle “mura” etnee, consapevole di saper scrivere e narrare molto bene, così come emozionare con la poesia, ormai è un avallo a un nuovo caso editoriale che non si ferma al librone come mezzo comunicativo, la sua pindarica esecuzione del pagina scritta, nel paradosso della locuzione latina prima citata, lo ha fatto sconfinare oltre i confini regionali. Una nota interessante è che Francesco Cusa non si è piegato a logiche di contratti e proposte editoriali che lo vincolassero per anni, rendendosi ciò che sempre si è autoproclamato: un uomo libero e spesso a questa libertà ha accostato il maestro yoga Eric Baret.



Libri e Fumetti 386 Algra editore 27 Francesco Cusa 9 Vic 1


"Vic", INTERVISTA PER ODYSSEO MAGAZINE - il:2021-11-22

https://www.odysseo.it/lestrema-psicosi-di-vic/?fbclid=IwAR0w3vlhtfjNkjqh92MZ7G_ICypxZQHUK1_cZuB3IiclTdby3MkrxrJWfVk

INTERVISTA PER ODYSSEO MAGAZINE

1. Ciao, Francesco. Qual è il labile confine che divide l'aspetto psicotico da quello sacrale di Vic?

La psicanalisi nasce, non a caso, a fine Ottocento, quando siamo ancora nella cosiddetta “società della repressione”, e su ciò fonda il principio terapeutico che eredita dalle società del passato la razionalizzazione del mito. Il Sacro è parte carsica del nostro tempo “scientifico”, permea le nostre vite, la vita di Vic, in maniera carsica, sotterranea. Vic è una sorta di osceno pontefice che opera fra le maglie del linguaggio.

2. Quanta influenza assume il genio di David Lynch nella tua scrittura?

Immagino molta, essendo un suo sfegatato fan. Lynch ha, appunto, il merito di aver dato rilevanza all’apparente irrazionalità dell’Oltremondo, descrivendo tramite il cinema l’irruzione delle creature pluridimensionali nel quotidiano di un remoto villaggio, e nella vita dei personaggi dei suoi film.

3. I luoghi periferici del tuo romanzo rischiano di mistificare realtà come all'interno dell'Overlook Hotel di Shining?

È probabile. Kubrick è un altro riferimento, senza alcun dubbio. Effettivamente, a cominciare dal luogo in cui si svolgono gli eventi del romanzo, Cotrone è un non-luogo, una specie di realtà morfologica alienata, un limbo posto fuori o sul limitare del Divenire in cui si muovono i protagonisti del romanzo (della mente di Vic, di quella dell’autore). È tutta una periferia di qualcosa, una palude metafisica in cui i morti paiono più vivi dei vivi.

4. La vita ha senso solo se vissuta in maniera "estrema"?

Dipende cosa si intende con la parola “estrema”. Tornando a Lynch, egli è una pacifica persona che pratica meditazione trascendentale, in apparente contrasto col flusso delle sue opere. Se per estremo intendiamo il termine ultimo sul piano spaziale e temporale, la mia risposta è: assolutamente sì. Compito di ogni artista è quello di scavare, con picconi, zappe, mani e unghia, di divorare l’esistente, di non lasciare spazio alla tergiversazione. Ogni artista compie gesti totalizzanti e assoluti. È una vocazione non un lavoro; sono lacrime di estrema gioia. Solo da queste lacrime possono sgorgare stille di senso.

5. Cosa rappresenta il disegno in copertina?

È un disegno di Pier Marco Turchetti, uno straordinario intellettuale e un fantastico artista. Lui racchiude la Sapienza come la si può intendere oggi, nell’era della parcellizzazione dei saperi. Siamo molto amici, e spesso lui è il supervisore delle mie opere in fase di stesura. Cosicché mi ha sottoposto dei suoi disegni e, immediatamente, ho trovato questa tavola perfetta per il romanzo. Il perché di tale aderenza è compito che riservo al lettore di constatare.

"Jazzitalia" Festival "Oltremente" (2021) - il:2021-11-20

http://www.jazzitalia.net/iocero/Oltremente2021.asp#.YZksyC1aaCQ

Ben distante dalla devastante logica dei cosiddetti "grandi eventi", il piccolo festival ibleo resiste anche in tempi duri come questi, proponendo tre serate all'insegna della qualità e della ricerca. Il tema conduttore quest'anno era il pianoforte, e prevedeva quattro distinte formazioni: un solo, un duo, un trio e un ensemble. Una pioggia inopportuna ha fatto cancellare il concerto previsto per sabato 11, quello del duo fra Mirko Signorile e Marco Messina, "Banaba".

I concerti per pianoforte solo di Livio Minafra fanno riferimento ai suoi dischi «La fiamma e il cristallo» e «La dolcezza del grido», rispettivamente del 2003 e del 2008, ma soprattutto al suo disco doppio del 2016, «Sole Luna». In questo ultimo Minafra (famiglia di noti musicisti, formazione classica, nutrita discografia a suo nome, collaborazioni prestigiose, docenze in diversi conservatori) ha concentrato alcuni dei suoi mondi musicali, a tratti drammatici ma spesso anche gioiosi e giocosi, come testimoniato dai pupazzetti che sparge sul pianoforte e sul palco. Nel suo concerto utilizza anche un piccolo xilofono giocattolo, una melodica, e soprattutto una loop station, con la quale duplica, replica e rinforza il suo messaggio artistico, arricchito a tratti dall'utilizzo del fischio e della voce, di oggetti comuni come sacchetti di plastica utilizzati a fini percussivi. Così si sono ascoltati, tra gli altri, Passi, la drammatica Sarajevo, la delicatissima e "liquida" "Cum grano Salis" dedicata al grande musicista sardo, in una performance vivissima, diversificata, che ha lasciato il segno perché coniugava felicemente tecnica di grande livello, messaggio e creatività.

Il "Fragile Trio", guidato da Alessandro Nobile al contrabbasso, lo vedeva al fianco di Luciano Troja al pianoforte e Francesco Cusa alla batteria. Insieme hanno eseguito, in un breve set, alcune composizioni di Nobile, anticipate e seguite da due brani di Thelonious Monk e Charles Mingus. Le composizioni originali consistevano solo in alcune linee melodiche e linee di basso, che il pianista ha creativamente armonizzato durante questa prima esecuzione, mentre Cusa ha fornito un'ossatura ritmica di notevole qualità. Un trio che meriterebbe spazio discografico e concertistico, per la grande dimestichezza con un'idea di improvvisazione creativa di particolare gradevolezza, fruibile e ricca di contenuti. Un esempio di quanto il panorama jazzistico siciliano sia ricco di talenti anche fuori dall'area mainstream.

"Oltroceano" era il titolo del set affidato al Pannonica Jazz Workshop. Realtà messinese esistente da un ventennio, curata da Luciano Troja e Filippo Bonaccorso, il laboratorio ha la caratteristica di affiancare musicisti dall'esperienza jazzistica a musicisti di estrazione classica, in una feconda abolizione di inutili barriere. Da anni impegnato a studiare l'opera di musicisti statunitensi a cavallo tra musica classica e jazz, a Ibla il corposo ensemble, che ospitava il chitarrista calabrese Giancarlo Mazzù, ha eseguito, dopo l'omaggio a Monk con Pannonica, musiche di Billy Strayhorn (Isfahan, Day Dream, Lush Life), Earl Zindars (Lullaby for Helene e How My Heart Sings) e Leonard Bernstein (Maria, Tonight, America). Organico inusuale, diretto da Troja, che al fianco di strumenti tipici del jazz (pianoforte, basso, chitarre, batterie, sassofoni e clarinetti) vedeva anche arpa e fagotto. Gli arrangiamenti dovuti a Troja erano preceduti da brevi improvvisazioni collettive; felice la scelta dei brani e interessante l'ensemble dal quale traspariva un percepibile entusiasmo e passione, che ha ampiamente soddisfatto il vasto uditorio. Una menzione particolare per gli assolo di Mazzù, sorprendenti per tecnica e ispirazione. Da ricordare anche che alcuni anni addietro Troja ha dedicato alle composizioni di Zindars, un artista molto amato da Bill Evans, un album davvero speciale in piano solo, «At Home With Zindars».

In sostituzione del concerto cancellato, Oltremente ha proposto, presso la Sala Falcone e Borsellino, un concerto del FCDuo, duo inedito composto da Francesco Cusa (batteria) e Tonino Miano (pianoforte e tastiere). Cusa ha presentato alcune composizioni del suo disco doppio "The Uncle (Giano bifronte)", dedicato a Gianni Lenoci, sul quale suonava lo stesso pianista prematuramente scomparso. Se ben note sono le qualità di Cusa, giova ricordare che il sorprendente pianista e tastierista Miano, siciliano per un trentennio vissuto a New York ma oggi di base a Catania, vanta un curriculum musicale e di studi non comune, come si è potuto riscontrare nella superlativa prestazione iblea, nella quale ha eseguito le non semplici partiture di Cusa con estrema perizia, sfruttando le potenzialità del synth, spesso usato insieme al pianoforte, creando timbri particolari e coinvolgenti. Swing potente, titoli dei brani fortemente ironici (o autoironici, che è ancora meglio), per un duo che ci auguriamo di riascoltare presto.

Intervista a Francesco Cusa per il romanzo "Vic" a cura de L'Opinionista. - il:2021-11-18

https://www.lopinionista.it/vic-il-nuovo-romanzo-di-francesco-cusa-lintervista-114760.html?fbclid=IwAR32p67Y12QpfbLt50HPSuIndIjqkQEM-EADDJCdBJ9metH0S2LvXoBCP6g

“Vic”, il nuovo romanzo di Francesco Cusa: l’intervista
Da Francesco Rapino - 18 Novembre 2021115

“Il personaggio rappresenta il trauma irriducibile, il caso clinico principe oggetto delle ricerche dei freudiani. Fortunatamente lui se ne sbatte di tali indagini, giacché egli rappresenta il cortocircuito di ogni narrazione clinica volta all’individuazione del caso topico, del “problema” su cui orchestrare la riuscita di un progetto teorico”

È disponibile in libreria e negli store online “Vic”, il nuovo romanzo di Francesco Cusa, pubblicato da Algra Editore, con la prefazione di Massimo Cracco e la postfazione di Giuseppe Paolo Carbone. Il romanzo è una sorta di diario surreale scritto in prima e terza persona, popolato dai personaggi “estremi” d’una provincia “estrema”: esseri reali e immaginari, vivi e morti, spettri e spiriti che potrebbero essere il frutto di una mente psicotica o del delirio d’un santo. Il centro del romanzo, il suo “senso”, sta forse in questo continuo scavo psicologico e metafisico teso a smascherare il velo del “Tremendo” che pare avvolgere “lynchianamente” la fisica e la morfologia della cittadina di provincia.

Francesco Cusa co ha gentilmente concesso un’intervista.

“Vic” è il tuo nuovo romanzo, di che cosa si tratta?

Vic è un ragazzo-uomo maturo-anziano che vive la sua schizofrenica vita di scrittore in un luogo immaginario del Sud dell’Italia: Cotrone. È un personaggio che rappresenta il trauma irriducibile, il caso clinico principe oggetto delle ricerche dei freudiani. Fortunatamente lui se ne sbatte di tali indagini, giacché egli rappresenta il cortocircuito di ogni narrazione clinica volta all’individuazione del caso topico, del “problema” su cui orchestrare la riuscita di un progetto teorico. In questo senso Vic nasce per ridonare all’Occidente l’aura mitica della legge di natura, ciò che prevale rispetto alla legge morale; in buona sostanza per restituire l’uomo alla sua sacralità».


Che cosa vuoi trasmettere con questo lavoro?

Come sempre nelle mie opere, sia letterarie che musicali, cerco di muovere le coscienze verso aspetti primari del fondamento dell’essere. Che un romanzo nel 2021 posta destare ancora fastidio, disturbo, perturbamento, trovo sia paradossalmente sano, nella società della prestazione, che produce per converso legioni di depressi, di assuefatti che vegetano ai margini di una protesta che non può più esprimersi in un limbo di soggettività deprivate di immaginario e visionarietà. In questo senso Vic è un personaggio negativo che si oppone alla positività priva di limiti (e perciò logorante) della normalizzazione, l’ultimo baluardo identitario contro l’omologazione.

La copertina del libro è un disegno del musicista e filosofo Pier Marco Turchetti. Com’è avvenuto questo incontro artistico?

Pier Marco Turchetti è uno straordinario intellettuale e un fantastico artista. Racchiude la Sapienza come la si può intendere oggi, nell’era della parcellizzazione dei saperi. Siamo molto amici, e spesso lui è il supervisore delle mie opere in fase di stesura. Cosicché mi ha sottoposto dei suoi disegni e, immediatamente, ho trovato questa tavola perfetta per il romanzo. Il perché di tale aderenza è compito che riservo al lettore di constatare.

Come ti sei avvicinato alla scrittura?

Ho sempre scritto, fin da giovane. Anche se sono più conosciuto come musicista, questa dello scrittore è per me divenuta una professione da circa una decina di anni, quando ho deciso di rendere pubbliche le mie opere letterarie sotto forma poetica, saggistica, poi esplorando l’aforisma, il racconto ed il romanzo.