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Francesco Cusa - Official Website - Recensione di "The Uncle" a cura di Raul Catalano

Recensione di "The Uncle" a cura di Raul Catalano - il:2020-04-11

https://raulcatalano.blogspot.com/2020/04/francesco-cusa-giano-bifronte.html?fbclid=IwAR1DIEq6bRx7_F_v9abvPdBnqGB4dGhw8sleHJ0GyAbwfZUGknvZ5Ch500s

Francesco Cusa, ''Giano Bifronte''
Doveva abbattersi sul mondo una pandemia per tornare a scrivere sulle oscure pagine di questo blog. Tuttavia questi quattro anni di assenza non erano stati programmati: essendo io fatalista, o meglio destinista, credo che qualunque cosa ci succeda abbia una sua motivazione, spesso per noi incomprensibile. O forse questo maledetto COVID-19 doveva arrivare per indurci a riflettere sulle nostre miserande esistenze e per farci capire che noi, se pur circondati dagli agi dell'onnipresente tecnica e dell'onnipotente scienza, siamo niente di più che miseri mortali, aggrappati alla vita da un sottile filo invisibile.

Messo da parte il doveroso pippotto pseudofilosofico/ batteriologico, veniamo al quod di questo mio intervento: parlarvi del nuovo disco di Francesco Cusa, già apparso sulle pagine di questo blog con il suo libro di aforismi e freddure ''Ridetti e Contraddetti''. Oggi parliamo di ''Giano Bifronte'', doppio cd inciso dal nostro con il suo Trio (Gianni Lenoci, piano; Ferdinando Romano, contrabbasso; feat. Giovanni Benvenuti, tenor sax) e con il camaleontico progetto degli ''Assassins'' (attualmente Valeria Sturba, violino, theremin, electronics; ed i già citati Romano e Benvenuti).

Innanzitutto bisogna notare l'ardire di Cusa nel pubblicare un doppio cd con le stesse composizioni. Quella che potrebbe sembrare una scomessa ad alto tasso di fallimento, si rivela vincente: Cusa dimostra la futilità di accostare al jazz dei nostri giorni il concetto stantìo di ''composizione'': la ragion d'essere della musica che noi amiamo è infatti l'interpretazione personale ed il poter ammirare l'interplay tra i musicisti, espostisi a noi senza alcuna ''scorciatoia'' annotata su carta. Questi due dischi, pur contenendo le stesse composizioni, sono letteralmente agli antipodi tra loro in quanto ad atmosfere sonore e direzioni improvvisative.

Iniziamo con il disco del FCTrio.
''Antropophagy'' e ''Cospirology'' prendono avvio da due temi ''beboppari/tristaniani'' di Cusa, che ben presto si sgretolano, inoltrandosi negli abissi della libera improvvisazione. Lenoci e Benvenuti eseguono impassibilmente i temi all'unisono. Le loro voci procedono a braccetto ma sono discordanti: proprio come il doppio sguardo del dio Giano – uno rivolto verso il passato e l'altro verso il futuro -, essi seguono due vie diverse ma convergono nella stessa meta. Lo stacco che prelude all'improvvisazione in ''Antropophagy'' è magistrale: improvvisamente veniamo catapultati in un groove ossessivo alla Chicago Underground, su cui Benvenuti si mette in mostra, degno del miglior Chris Potter. Ben presto l'attenzione delle mie orecchie viene attirata dal pianoforte: Lenoci centellina i suoi interventi e tocchi; spesso si incaglia su poche note, creando un'atmosfera solenne ed ipnotica (non riesco più ad estirpare dalla mia mente quell'intervallo di seconda minore ascendente).

Con questo accorgimento che potremmo definire ''prosciugamento zen'', Lenoci ci inchioda a seguirlo a qualsiasi costo: ad ogni sua minima aggiunta melodica o modifica ritmica sentiamo mancarci la terra da sotto i piedi e restiamo in attesa di ogni sua indicazione sulla prossima direzione da prendere.
Lenoci ha la capacità di condensare nel suo fraseggio la tradizione eurocolta (a volte sembra di essere nella Vienna di inizio Novecento dinanzi ad una sonatina di pianoforte) col linguaggio afroamericano (inteso non semplicemente come ''jiezz'', ma anche all'avanguardia statunitense di John Cage e Morton Feldman). Per chiarire meglio cosa avverto azzardo un confronto: ascoltare Lenoci in azione ricrea in me la stessa sensazione che ho avuto dinanzi ai dipinti di Mark Rothko. Così come quest'ultimo aveva rinunciato a qualsiasi tipo di forma, struttura e convenzione preesistente, scegliendo di aggrapparsi al colore come unico e potentissimo mezzo di comunicazione con chi guardava le sue tele, Lenoci si aggrappa unicamente al suono, inteso nella sua più assoluta purezza ed immediatezza. Un suono privo di orpelli e tecnicismi, a primo impatto crudo e screziato, ma che rivela una profonda riflessione e meditazione perchè affonda le sue radici nel silezio e nell'assenza di schemi e di materia.

Alle spalle di Lenoci e Benvenuti si muove una macchina ritmica impeccabile: Cusa sgattaiola suonando i cerchi dei tamburi, accresce la tensione con lunghe pause inaspettate, riemerge con fragranti esplosioni dei piatti; Romano, dal canto suo, alterna frasi ritmiche spezzate e perentorie, assicurando a tutto il gruppo la ''terra'' armonica e ritmica su cui muoversi a piacimento.
In particolare il dialogo/duello che si instaura tra Cusa e Lenoci è di rara bellezza: i due si aspettano e si studiano, lasciano riecheggiare nella loro memoria le idee dell'altro ma senza fretta: proprio quando sembrano disperdersi nel mare magnum dell'improvvisazione collettiva, le fanno riemergere trasfigurate, rimasticate ed arricchite.

L'ultima parte del disco porta avanti questo schema di alternanza tra i pieni melodico/ritmici dei temi ''boppari'' con gli svuotamenti zen post-tematici. Da segnalare, nell'improvvisazione in ''Pharmacology'', un momento di grande intensità: Lenoci percuote le corde del suo pianoforte, stoppandole lievemente con la mano per poi abbbassare il pedale della risonanza: ne viene fuori un eco sommesso che sembra provenire dall'abisso del nostro inconscio.

Nel secondo disco l'atmosfera cambia drasticamente: merito della new entry e polistrumentista Valeria Sturba (violino, theremin, voce, electronics). Le improvvisazioni di Sturba riservano sempre nuove sorprese e spiazzano anche chi è abituato all'originalità dei suoi progetti musicali (su tutti il duo ''OoopopoiooO'' con Vincenzo Vasi). La Sturba spariglia le carte e gli equilibri consolidati nel trio Cusa-Romano-Benvenuti, diventando il perno del gruppo. Le libere improvvisazioni che nel precedente disco si nutrivano di silenzi, attese e spiritualità, adesso si fanno più frenetiche ed acide, con sonorità elettriche ed oserei dire quasi rock psichedeliche.

Da segnalare, in particolare, un momento sospeso tra l'ironico ed il terrorizzante in ''Dr. Akagi'': Sturba esegue in solo la melodia del tema con un'interpretazione che mi ha riportato alla mente il tema di ''Rosemary's Baby'' (firmato da Krzysztof Komeda).

Altra segnalazione da fare sull'abilità di Sturba – se mai ce ne fosse bisogno - è l'intro vocale in ''Pharmacology'', dove la sua voce, grazie al sapiente uso della loop station, riesce a costruire un fitto tappeto sonoro melodico e armonico da cui prende avvio il brano.

Dopo aver ascoltato questo disco non si può fare a meno di pensare a cosa altro avrebbe potuto sfornare il sodalizio tra Cusa e Lenoci, tristemente scomparso il 30 settembre 2019. A me resta il rimpianto di non aver potuto conoscere di persona il pianista pugliese, nonostante fosse venuto di recente a suonare a Venezia proprio con il ''Meister'' Cusa. Perciò non mi resta che congedarvi con alcune bellissime parole dedicategli dal batterista catanese dalle pagine di ''Musica Jazz'' e da una poesia dello stesso Cusa, contenuta nella raccolta ''Canti Strozzati''.

''Lo scopo dell'artista è quello di generare costantemente nuove utopie. Per i veri poeti, profeti e veggenti l'accesso alla mitologia non passa attraverso le categorie della scienza. Gianni era uno di essi: conservava dell'approccio razionale la necessità metodologica che traduceva poi in téchne, ossia in quel misto di sapienza, creatività e tecnica funzionali alla sua (nietzschiana) volontà di potenza. In realtà egli continuerà a risuonare perché, paradossalmente, la deflagrazione muta della sua scomparsa si sta rivelando immane vibrazione sonora, e il suo essere stato ''inaudito'' in vita, nel senso più profondo della parola, ossia di ''non ascoltato prima'', diviene densità e nucleo di valori archetipici e, dunque, in larga parte invisibili''.

Fiori di Maggio

Me ne andrò
Come se ne vanno tutti
Nel silenzio della vita
Che ristagna nei cuori
Di chi rimane.

- Link -

https://open.spotify.com/album/2WRYgOmduSMBwDCNAoskn1

https://www.amazon.it/Uncle-Giano-Bifronte-Francesco-Cusa/dp/B0848LQXR9/ref=sr_1_fkmr0_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&dchild=1&keywords=giano+bifronte+casa&qid=1586524759&sr=8-1-fkmr0

https://www.amazon.it/Canti-strozzati-Francesco-Cusa/dp/8867703439/ref=sr_1_1?__mk_it_IT=%C3%85M%C3%85%C5%BD%C3%95%C3%91&dchild=1&keywords=canti+strozzati+cusa&qid=1586524786&sr=8-1