Neri Pollastri recensisce "Racconti Molesti" - il:2017-11-28
Francesco Cusa - Racconti Molesti
Un libro di racconti molesti, che “molesti” sono davvero, perché sempre dissonanti laddove ti aspetteresti qualcosa di melodico, o almeno di armonico;
Un libro in cui ci sono “amore”, “donne”, “esseri sovrannaturali” e - ovviamente - l’Autore, ma - essendo un libro di racconti molesti - nessuno dei summenzionati è come ci si aspetterebbe, o si desidererebbe.
L’amore è incomprensibile, intimamente e inderogabilmente infedele, intollerante, sempre storditamente surreale;
Le donne muoiono inopinatamente e stupidamente, oppure vengono uccise ma vagano ancora tra noi, con loro scorno;
Gli esseri sovrannaturali sono angeli precipitati sulla terra e trasformati in rocce, oppure uomini che spiaccicano le vicine sul termosifone, o sognano di uccidere il gatto che hanno in grembo, oppure hanno come unico alter ego un ragnetto, o ancora si svegliano e vanno a sgozzare commessi dell’IKEA;
L’Autore si dipinge nauseato dal mondo, dal quale si tiene marginale, con una spocchia da sconfitto che non lo fa essere particolarmente simpatico, quanto piuttosto - appunto! - molesto. Anche quando - ed è significativo - ha un istante di buddhità alla coda alla cassa del supermercato, perché si tratta di una buddithà stomachevolmente erotica...
Ma il massimo della molestia lo si raggiunge forse in un racconto che esorbita queste pur ampie “categorie” (la sua è quella del merchandising): “un negozio di materiali organici. Liquori, granite, gelati e succhi, aromatizzati ed estratti dagli effluvi dei bambini, degli adulti e dei vecchi: mestruazioni, sperma, sudori, salive, catarro, liquidi brufolosi”...
Con una ricercatezza linguistica che ricorda la poesia e una stralunata espressività che fa trovare espressioni come “dentifricio da fatine” o “sideralità della macchia di sugo”.
Un libro quindi nel quale viene dipinto un mondo orribile, osceno, sgradevole - molesto appunto - ma soprattutto scomposto, frantumatamente frastagliato e irrecuperabile, perché privo di qualsivoglia connessione di senso.
E appunto quest’ultimo tema è quello che, forse, può costituire la chiave di lettura del libro e finanche dell’Autore: il senso.
Il libro si apre infatti con un racconto intitolato “Dio”, nel quale perfino questi si ritrova affranto per l’assenza di senso; e si chiude con il racconto più lungo - “I tanti volti di Ingrid” - e anche più enigmatico, tanto che non è chiaro se il titolo sia quello del racconto o della “categoria” che raccoglie le singole parti in cui è frazionato. La storia - inizialmente quella di un personaggio di un videogioco - cambia pelle e significato nel corso del suo sviluppo e, alla sua conclusione non-conclusione, diventa alfine una finestra su una possibile trascendenza. Atipica, indefinita, confusa, implausibile quanto si vuole, ma pur sempre trascendenza.
Quella trascendenza, verrebbe da dire, che è indispensabile all’autore per riscattare, emendare quel mondo molesto che ha implacabilmente e fastidiosamente descritto nei racconti precedenti e che è la inevitabile conseguenza della perdita di senso dello stesso Dio.
È così? Soltanto Cusa può saperlo!!
Un libro di racconti molesti, che “molesti” sono davvero, perché sempre dissonanti laddove ti aspetteresti qualcosa di melodico, o almeno di armonico;
Un libro in cui ci sono “amore”, “donne”, “esseri sovrannaturali” e - ovviamente - l’Autore, ma - essendo un libro di racconti molesti - nessuno dei summenzionati è come ci si aspetterebbe, o si desidererebbe.
L’amore è incomprensibile, intimamente e inderogabilmente infedele, intollerante, sempre storditamente surreale;
Le donne muoiono inopinatamente e stupidamente, oppure vengono uccise ma vagano ancora tra noi, con loro scorno;
Gli esseri sovrannaturali sono angeli precipitati sulla terra e trasformati in rocce, oppure uomini che spiaccicano le vicine sul termosifone, o sognano di uccidere il gatto che hanno in grembo, oppure hanno come unico alter ego un ragnetto, o ancora si svegliano e vanno a sgozzare commessi dell’IKEA;
L’Autore si dipinge nauseato dal mondo, dal quale si tiene marginale, con una spocchia da sconfitto che non lo fa essere particolarmente simpatico, quanto piuttosto - appunto! - molesto. Anche quando - ed è significativo - ha un istante di buddhità alla coda alla cassa del supermercato, perché si tratta di una buddithà stomachevolmente erotica...
Ma il massimo della molestia lo si raggiunge forse in un racconto che esorbita queste pur ampie “categorie” (la sua è quella del merchandising): “un negozio di materiali organici. Liquori, granite, gelati e succhi, aromatizzati ed estratti dagli effluvi dei bambini, degli adulti e dei vecchi: mestruazioni, sperma, sudori, salive, catarro, liquidi brufolosi”...
Con una ricercatezza linguistica che ricorda la poesia e una stralunata espressività che fa trovare espressioni come “dentifricio da fatine” o “sideralità della macchia di sugo”.
Un libro quindi nel quale viene dipinto un mondo orribile, osceno, sgradevole - molesto appunto - ma soprattutto scomposto, frantumatamente frastagliato e irrecuperabile, perché privo di qualsivoglia connessione di senso.
E appunto quest’ultimo tema è quello che, forse, può costituire la chiave di lettura del libro e finanche dell’Autore: il senso.
Il libro si apre infatti con un racconto intitolato “Dio”, nel quale perfino questi si ritrova affranto per l’assenza di senso; e si chiude con il racconto più lungo - “I tanti volti di Ingrid” - e anche più enigmatico, tanto che non è chiaro se il titolo sia quello del racconto o della “categoria” che raccoglie le singole parti in cui è frazionato. La storia - inizialmente quella di un personaggio di un videogioco - cambia pelle e significato nel corso del suo sviluppo e, alla sua conclusione non-conclusione, diventa alfine una finestra su una possibile trascendenza. Atipica, indefinita, confusa, implausibile quanto si vuole, ma pur sempre trascendenza.
Quella trascendenza, verrebbe da dire, che è indispensabile all’autore per riscattare, emendare quel mondo molesto che ha implacabilmente e fastidiosamente descritto nei racconti precedenti e che è la inevitabile conseguenza della perdita di senso dello stesso Dio.
È così? Soltanto Cusa può saperlo!!
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