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Francesco Cusa - Official Website - MIa recensione de:"Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno" (8) di Cris Nolan

MIa recensione de:"Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno" (8) di Cris Nolan

2012-09-04


"IL GRANDANGOLO NO!"
recensioni cinematografiche a cura di Francesco Cusa

"Il Cavaliere Oscuro - Il Ritorno"

Da consumato fan della Marvel devo ammettere che nessun personaggio della casa di Stan Lee è in grado di evocare l'aura chiaroscurale e disturbante dell'uomo pipistrello (forse solo Dare Devil può accostarsi a questo grado di tragicità).
Uno splendido film che, tuttavia, rimane un gradino sotto al sontuoso precedente dall'amaro epilogo: Il Cavaliere Oscuro del 2008 che segnerà la fine sulle scene e nella vita del Joker-Ledger. Difficilmente i non avvezzi il mondo dei videogames potranno però accostarsi compiutamente all'opera, in quanto tra i due lavori filmici stanno due capolavori d'arte videoludica: "Batman: Arkham Asylum" e "Batman: Arkham City", ovvero due straordinarie opere d'arte note a milioni di giocatori dense di sviluppi futuri per la nota saga.
Non che per fruire l'ultimo gioiello di Nolan sia necessaria una certa dimestichezza col joypad; tutt'altro. Occorre però avere contezza anche di queste diramazioni, le quali assieme al fumetto, fungono da pungente sottotesto ai lavori di Nolan. I riferimenti sono molto espliciti, talora smaccati, particolarmente evidenti nella colonna sonora, nei costumi, in certe spiluccature di trama, nelle moine di Catwoman (evidentemente riprese dalla Catwoman del videogame "Arkham City").

La precedente morte di Joker (al cinema e in Arkham City) aveva il compito di porre termine alle dicotomie di una società spezzata, scissa come lo sfigurato Harvey Dent, una realtà in cui la follia è rimossa, il male confinato e ghettizato in prigione (o addirittura in interi quartieri-ghetto). Batman si sacrifica eclissandosi e assorbendo ciò che in Dent era dominio del Caso (la moneta tirata in aria: morte o salvezza) e rimuove da Gotham il Senso di Colpa di una società comunque corrotta.
Un sacrificio prometeico che tuttavia finisce col privare Gotham della sua stessa anima pulsante, restituendo un microcosmo privo di contraddizioni, vitreo e congestionato. Senza l'irrazionalità dell'archetipo d'un Joker la città piomba dunque in una sorta di catalessi, di stato catatonico. L'ordine apparente è mefitico, lo stato psicologico dei protagonisti come sospeso in un limbo patogeno. Una città che nasconde il male sotto al tappeto non può che essere priva di evoluzione, di appeal.
L'entrata in scena di Bruce Wayne, depresso e zoppicante, è come un calcio negli stinchi: riattiva il dolore e la circolazione. Tutto si rimette in moto, ciclicamente. Il cattivo di turno, Bane, è l'antidoto, ovvero lo specchio rovesciato di una speranza capovolta (un avvitamento esponenziale di possibili circuiti di speranza). Espressione di brutalità - egli stesso morfologicamente grezzo e poco sofisticato, a differenza di altri cattivi DC Comics come l'Enigmista -, Bane è aggregazione cieca di materico odio, Moloch senza storia, Golem scomunicato.
E' una nemesi sorda che irrompe al di qua del bene e del male, uno squillo arcangelico di tromba giunto a distruggere le mura di Gerico/Gotham. Il suo tribunale incarna lo spettro della realtà cittadina, è l'ombra kafkiana sul senso della Giustizia e del Diritto, sul nostro principio di Civiltà e Democrazia.
"Morte o Esilio" (Esilio in quanto Morte), sono le parole pronunciate da un giudice stilizzato, nella rievocazione scarna di un passato che vedeva il Bene ancora contrapporsi al Male. Ma qui la scelta è solo apparente, la sentenza è quella di morte, la messa in scena funzionale all'attualizzazione di un processo entropico messo in atto da Bane in qualità di servitore di Ra's al Ghul.
Il dipanarsi delle vicende è poi secondario all'impostazione di fondo, e gran merito va a Nolan per la sostanziale tenuta dell'intricato ordito, anche se nel finale tutto un po' sembra precipitare frettolosamente. Non era del resto compito facile.
Il film tratta tematiche complesse - non si prenda sotto gamba il paradosso degli eroi in costume plastificato - e prende corpo nelle mille intricate sottotrame, per ovvie ragioni destinate a perdersi carsicamente. Ma nello spazio di queste tre ore di film, che in altri tempi sarebbe stato definito "kolossal", c'è il tempo per lasciar sedimentare sfumature e dettagli, trovate geniali e leggere impasse, quello necessario a gustarsi la coralità di un'operazione ciclopica dall'enorme grandezza visiva,