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La mia recensione di “Come ammazzare il tempo quando sei morto”, di Sal Costa. M

2021-03-20

La mia recensione di “Come ammazzare il tempo quando sei morto”, di Sal Costa. Morellini Editore. Per "CULTURA COMMESTIBILE".
“Un libro che si legge tutto d’un fiato”: frase fatta, ma che nel caso di quest’ultimo romanzo di Sal Costa risulta quanto mai pertinente. Di solito impiego molto tempo a leggere un libro per tre sostanziali ordini di ragione: 1) ne sto leggendo almeno dieci in contemporanea 2) mi sto annoiando e allora leggo alcune pagine e poi faccio apri e chiudi 3) mi intriga e allora lo centellino per evitare di andare troppo in fretta.
Questa volta invece ho cominciato a leggere “Come ammazzare il tempo quando sei morto” e non ho più smesso (non ho toccato altri libri) fino a quando non l’ho terminato (nel mio giardino di casa, comodamente stravaccato sulla vecchia e consunta sdraio gialla). Mi era successa una cosa simile una sola volta, se ben ricordo, con “L’amore ai tempi del colera” di Garcia Marquez. Rammento di averlo letto sul sedile del corridoio di un affollatissimo espresso Milano-Catania durante un viaggio durato circa trenta ore a causa di guasti e interruzioni. Mentre divoravo il testo di Sal, tentavo (facendo un notevole sforzo, giacché la trama è intrigante e coinvolgente) di carpire il segreto della sua scrittura, così semplice e scorrevole e al contempo venata d’un preziosismo placido, antico, e d’una fragranza di tabacco. Di sigarette, del resto, se ne consumano a iosa in questo noir ambientato in una Catania viva e pulsante, immersa nella canicola estiva alle falde dell’Etna che incombe coi suoi silenzi, sigarette una tira l’altra a placare la crescente angoscia dell’investigatore privato Salvo Di Fini, sempre più invischiato nell’ordito di una trama che si rivelerà angosciosa al suo sommo grado. È una lettura fisica, partecipata, ove ogni pagina trasuda di liquidi secreti, colletti lerci di camicia, aloni ascellari da giacca, di notti senza riposo, di caffè consumati a macerare intestini e budella, di forsennate corse in automobile e flemmatiche prese di coscienza sull’ineluttabile destino d’ogni creatura in questa Terra.
Il meccanismo che regola la narrazione è perfetto, oliato come il motore di una fiammante fuoriserie, e conduce il lettore passo passo, portandolo a passeggio per i meandri di Catania e provincia con l’integrità della fascinazione familiare, preparando l’orrore e la violenza con la cura della dissonanza da risolvere nei vecchi trattati di armonia musicale.
Soprattutto nel finale emergono poi, in un abbraccio quanto mai fecondo con il pathos della storia, i lati oscuri della corruzione politico-mafiosa che hanno caratterizzato le tristi cronache di quegli anni, e questo è l’aspetto pregnante che colloca l’ultima fatica di Sal Costa su ben altri piani rispetto alla narrativa di genere, ossia su un livello altro che induce il lettore a stimolare il ricordo delle dolorose pagine nere di quegli anni mitici e terribili. L’influenza di questa variabile narrativa, quasi una storia carsica che nutre e concima il racconto delle vicende dell’investigatore Di Fini, non funge dunque da espediente strategico, da sfondo ambientale, da canovaccio connotante, bensì rappresenta il cuore segreto e pulsante della passione civile di Sal Costa, e in definitiva ciò che spinge l’autore a concepire una storia come questa.
Compratelo e divoratelo, come un catanese farebbe con un iris al cioccolato o una cipollina.
Francesco Cusa
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