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Francesco Cusa - Official Website - Recensione di “GHOST STORY” di Dyson e Nyman (8)

Recensione di “GHOST STORY” di Dyson e Nyman (8)

2018-05-06

“GHOST STORY” di Dyson e Nyman (8)

Il professor Philip Goodman conduce il programma televisivo “Truffe Paranormali”, ed ha consacrato la sua intera vita (come il militante “cicapparo”) a smascherare le attività dei sensitivi, degli indagatori del paranormale ecc.
“Ghost Story” è naturalmente la narrazione del progressivo sfaldarsi delle certezze dogmatiche di Goodman, attraverso l’esplorazione di tre casi rimasti “irrisolti” dal suo predecessore, lo psicologo Charles Cameron.
Questo film è un piccolo gioiellino che si rifà alla tradizione dell’horror psicologico degli anni Settanta, percorso da un’irresistibile venatura di umorismo “british” che rende fascinosa la narrazione, in un equilibrio perfetto tra spaventi da “jump scares” e scene “à la Jodorowsky” (soprattutto nel surreale e folle finale).
Goodman viene accusato dal suo stesso mentore di rimuovere le informazioni del mondo che non rientrano nella sua insulsa casistica, e il viaggio - del protagonista e dello spettatore - è un lento scivolare verso le regioni del sovrannaturale, dell’assurdo e del mostruoso. Alcune massime affidate alla bocca dei soggetti indagati offrono il centro della speculazione “filosofica” del film di Dyson e Nyman (autori anche dell’omonima celebre piéce teatrale di enorme successo in Inghilterra): “Il cervello vede solo quello che vuole vedere”, “Vuoi ridurre il mistero della vita a una questione di atomi e molecole”.
I tre casi - Tony Matthews, il guardiano notturno che esplora i sotterranei del manicomio, Simon Rifkind, il ragazzo chiuso in casa e perseguitato dal demonio, e Mike Priddle, il broker a cui si manifesta il poltergeist del nascituro morto - vengono gestiti dai registi con maestria davvero rara ed escursioni nel cinema di Kubrick, Polanski e Lynch. La costruzione della trama è oltremodo pregevole, strutturata com’è su sincronie temporali sfalsate ma concatenate in un convincente puzzle che rivelerà il suo mistero nel sorprendente finale.
Il film è pieno di rimandi cabalistici (suffragati da prologo nei filmati in “Super 8” dell’infanzia tormentata di Goodman, col padre ebreo ortodosso a fare da despota, nel gioco perverso che porterà il povero “Kojak” ad esplorare la galleria buia alla ricerca dei dieci numeri ecc.), e si dispiega su versanti affabulatori che procedono in direzione verticale oltre che orizzontale, chiudendo la cornice dell’opera entro il sigillo pregevole dei due quadri iniziali e finali.
Spero vivamente che molti cinefili vincano la pregiudiziale ritrosia nei confronti di questi prodotti di genere e corrano in sala a vedere questo piccolo capolavoro.