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Francesco Cusa - Official Website - Recensione di "Hostiles" di Scott Cooper (8)

Recensione di "Hostiles" di Scott Cooper (8)

2018-03-31

Un film duro, fatto di silenzi e spazi aperti, intimamente violento, affatto spettacolare, denso e profondo come la narrazione ctonia d’uno spirito della notte. “Hostiles”, l’ultimo film di Scott Cooper, pianta una bella pallottola nella pancia del nostro mondo civile, mostra il lato straziante e carnale del potere e della logica della sopraffazione, e lo fa tramite la riduzione avventurosa assurta a simbolo di un processo politico crudo e cinico che risponde al nome di “sogno americano”.
Uomini. Territori. Spazi.
E’ la Natura a tenere insieme il gioco perverso delle relazioni tra simili, e non c’è altro che Natura a colmare la densità dell’orrore e dell’odio verso l’Altro, per il diverso. Collocare in una differente prospettiva le feroci gesta degli uomini-carnefici, vittime di vittime in una cornice quasi straniante: questo fa Scott Cooper in un western venato di surrealismo, asciutto come una crepa nella roccia. E’ in questi spazi, che appaiono sterminati, che vengono rappresentate le microstorie e narrate le vicende di un capitano dell’esercito e di una vedova sopravvissuta allo sterminio di tutta la famiglia ad opera dei Comanche.
Il film comincia con quella che potremmo definire quasi un’epigrafe di D.H. Lawrence: "Nella sua essenza, l’anima americana è dura, solitaria, stoica e assassina. Finora non si è mai ammorbidita".
I personaggi di “Hostiles”sono icone che incarnano tipologie balzachiane d’oltreoceano: maschere, calchi, o in altre parole, “viseità”.
La depressione che intossica tutta l’opera è concentrata nella figura dell’amico fidato del capitano Blocker e sembra essere figlia della stessa crisi di valori del colonnello Kurtz, magistralmente descritta da Coppola in “Apocalypse Now”. Solo che in “Hostiles” il capitano Blocker, che assume come guida virgiliana il nemico “Falco Giallo”, vive la sua “mutazione” per analogie meno sofisticate, più semplici e dirette. Il processo di consapevolezza scaturisce dal distillato cruento di massacri inutili operati quasi esclusivamente dall’uomo bianco; avviene per “accumulazione”, si rafforza nella stratificazione d’ogni sterminio. A sigillare nel mutismo della maschera di Blocker l’immanenza del dolore provvede l’inesorabile percorso - che è anche reale cammino di un gruppo meticciato nella direzione del forte -, che porta a “riconoscere” e a “riconoscersi” tutti - capitani, capi tribù, vedove, soldati, figli, madri, padri -, in un viaggio iniziatico corale che produrrà fratellanza e comunione per osmosi cruenta. Sangue su sangue e volti imperturbabili.
Le stragi dei Comanche, terrificanti conclamazioni del Mostruoso, si bilanciano così con quelle altrettanto feroci del bianco, queste ultime figlie però della brama di conquista e della sottomissione dei popoli nativi.
In questo senso è un dramma maschile, giacché Rosalee Quaid, nonostante il devastante trauma, finirà con l’adottare il bambino indiano superstite.
Film da vedere.

Francesco Cusa