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Francesco Cusa - Official Website - Recensione de "L'Inganno" di Sofia Coppola per Cultura Commestibile. (3)

Recensione de "L'Inganno" di Sofia Coppola per Cultura Commestibile. (3)

2017-09-30

Uscire fuori dalla sala dopo un film di Sofia Coppola e sentirsi (per l'ennesima volta) presi per i fondelli. Questo potrebbe essere l'efficace sottotitolo di questa recensione. Sofia Coppola è la "regista del sottovuoto". Confeziona sceneggiature con immani "pellicole" di cellophane con cui riveste gli ambienti e le scenografie, pratica artificiose insufflazioni di atmosfere stranianti che paiono fungere da preludio allo sviluppo di chissà quali evoluzioni di trama, ed infine si prodiga nella tecnica della rigirata del cucchiaino, arte in cui Ella eccelle in qualità di sopraffina maestra di rimestamenti. Nella medesima tazza di the che, da bollente, diventerà tiepida e poi fredda sboba, in questo contenitore-cornice che è il canovaccio di tutto il suo cinema, prendono a muoversi ombre e parvenze di trama, cenni di brame e ardori, sussulti e spasmi di passioni. E a noi non rimane che la contemplazione passiva di questo spazio acquoreo in cui sono immerse le sbiadite figure dei personaggi, una sorta di transfert onirico privo di pathos, melenso, noioso, fumoso. In questo suo "L'Inganno", la nostra Sofia è riuscita nel difficilissimo compito di rendere spente e stanche le interpretazioni di un cast stellare: citiamo quantomeno Kristen Dunst, Nicole Kidman e Colin Farrel. Diciamola tutta: il cinema della Coppola è un cinema antipatico, insopportabilmente fichetto, stucchevolmente femminista (in senso brutto), insipido come una minestrina col dado dei Settanta. La Coppola ci mette del suo nel maldestro tentativo di scombinare le carte senza alcuna ragione apparente, producendo una sorta di ibrido tra il romanzo di Cullinan e il film di Siegel, o, per meglio dire, un affresco estetizzante che vorrebbe scimmiottare atmosfere à la "Picnic ad Hanging Rock". Il gineceo che accoglie lo sventurato e fortunato soldato, è il piccolo paradiso dei frigidi, ove perfino il più bestiale degli istinti finisce relegato in quel sempiterno volumaccio che è l'abecedario rosa per adolescenti timorate da Dio (o dal Padre). Non ci incantano le obiezioni dei fan della regista, giacche tali millantate peculiarità narrative, da taluni osannate in maniera scriteriata, trovano radici nella quintessenza del nulla creativo, e sono alimentate dalla bonaccia del Mar della Noia. Un film da evitare senza se e senza ma.



Francesco Cusa