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Francesco Cusa - Official Website - Recensione di ALIEN “COVENANT” di Ridley Scott (8,5)

Recensione di ALIEN “COVENANT” di Ridley Scott (8,5)

2017-05-17

È difficile dare un giudizio sull’ultima opera di Ridley Scott. Questa si inserisce in un momento topico che prevede un interessante snodo nel plot della saga. Scott, in aperto contrasto con le scelte narrative del passato (dalla regia di Cameron alle sceneggiature di Lindelof) intende connettere le vicende dello Xenomorpho alla mitopoiesi delle origini della Creazione, in una programmatica dichiarazione di intenti annunciata nel “prologo” al film. Al fine di intraprendere questa titanica impresa, Scott necessitava di sostanziali rabberciamenti della trama, di puntelli di matrice didascalica al fine di tessere un nuovo ordito funzionale al concept. In particolare c’era da ricostruire a partire dalle macerie di “Prometheus” investendo sulla trinità androide-xenomorpho-umano.

E qui si innesta la tematica “filosofica” dell’opera, pur nei limiti palesi dell’urgenza espressiva del regista che necessita di far quadrare i conti nell’arco delle due ore canoniche. “David”, l’androide non può che rivestire ruolo centrale in “Covenant”: è lui il Demiurgo della ciclica scala gerarchica che investe la costante erotica della relazione tra donna e “xenomorphismo” (emblematiche in tal senso le immancabili canottiere, le uccisioni nelle docce durante l’amplesso, la coda letale che si insinua come una protesi fallica, ecc.). L’Altro ha diversi connotati e tutti riconducibili all’Altro.

È un limbo chiuso quello in cui si scarica la pulsione yin-yang/centrifuga-centripeta della scabrosa dialettica della lotta trinitaria, che a sua volta è anche endogena, ovviamente, del gruppo, della specie. È il costante giogo di forze che genera il movimento della trama, la quale risulta quasi “espulsa” dal corpo dell’opera come la creatura aliena dal corpo parassitato. E dunque si procede per salti, tra meraviglie registiche e rovinose cadute di stile che fanno dannare l’appassionato. Ciò che manca è l’ambientazione “stealth” (che, ad es., ha meravigliosamente connotato il recente videogioco) dei film precedenti, troppo sbrigativamente relegata nelle scene finali. Inoltre – ma ciò è inevitabile – la pluralizzazione dello xenomorpho, il suo “ready made”, sposta la fascinazione sulla diade dei “David” (anche se si intuisce che sono stati creati molti altri androidi nel passato), così da vaporizzare la forza magnetica dell’Alien che tanto aveva caratterizzato le prime versioni. In ogni caso, film da vedere assolutamente e senza tergiversazioni.

ALIEN “COVENANT” di Ridley Scott