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Francesco Cusa - Official Website - Recensione di “It Follows” di David Robert Mitchell (8)

Recensione di “It Follows” di David Robert Mitchell (8)

2016-07-13

“It Follows” è uno degli horror più belli che abbia visto negli ultimi anni (utilizzo convenzionalmente la parola “horror” ma, come per “Shining”, il termine è riduttivo). Il regista David Robert Mitchell, alla sua seconda opera, riesce a catturare con delle sublimi e semplici trovate: una colonna sonora da urlo (utilizzo dei synth e atmosfere magiche da anni Settanta), e l’utilizzo del “2.35” che restituisce il senso di svuotamento della scena allo spettatore.
Il tema del film è quello della possessione; tramite i rapporti sessuali è possibile trasferire al partner la “visione” di questi spettri che abitano il nostro mondo reale, i quali diventano poi parte del mondo materico minacciando le vite dei contaminati.

Fin qui sembriamo essere su territori convenzionali e propri di certo cinema blockbuster-horror; invece “It Follows” è un prodotto che si distingue nettamente nel panorama di genere.
Innanzitutto per le sue atmosfere; fin dalle prime scene lo spettatore è proiettato all’interno di una dimensione aliena che investe il quotidiano dei “posseduti”. A sconcertare è questa ambientazione disturbante del contesto entro il quale vengono a muoversi i protagonisti, e David Robert Mitchell è abilissimo a seguire la lezioni dei grandi maestri come Lynch e Carpenter senza scimmiottarli, anzi, confezionando un prodotto davvero unico nel panorama (tali atmosfere mi hanno ricordato anche quelle di “Picnic a Hanging Rock” di Peter Weir).
Mitchell insomma ricostruisce una sorta di Detroit metafisica, popolata da zombie, sorta di spettri in carne ed ossa, invisibili ai non posseduti, che talvolta irrompono nella scena con risultati davvero angoscianti (rimandiamo ai demoni lynchiani, per avere un’idea).

Il sottobosco dell’opera è certamente di matrice antropologico-sociale: questo “contagio” è anche un riferimento all’aids, ma soprattutto, al disagio giovanile, alla solitudine del branco esorcizzata nella coagulazione dell’amplesso come paradossale via di fuga dal mondo oscuro, fuga che garantisce però la trasmissione del “virus” e dunque una sorta di epidemia in cui il mondo alieno, esterno, ultraterreno, popolato di orrore, tracima nel Reale, rompendo la sottile membrana che separa il “Terribile” dal mondo.
Ma tutto questo non “spiega” o spiegherebbe un bel niente. Troppi i rimandi simbolici, eccessive e maniacali le cure dei dettagli, della manie, dei corpi, degli ambienti, dei luoghi, della case, per essere frutto di una mera scelta stilistica del regista.

Non ci sono balzi sulla sedia, ma brividi freddi e raggelanti alla schiena, perché in ciascuno di noi vibra, nella remota, remotissima ombra dell’intimo, la fiammella nella notte, ad illuminare il niente che ci circonda. Ed è quando questo “niente” si palesa, nelle sue più inconcepibili devianze, che siamo magicamente in sintonia con l’ancestrale, con la sacralità e tutto ciò che ne consegue, al di qua della rimozione e in contatto con le nostre nature più profonde, ctonie.
Il tema è ancora una volta il Maligno.
Dove può annidarsi, nel contemporaneo, la radice oscura, se non nel disagio interiore, nella presunta psicosi, nel dramma silente e borghese del benessere?
Il film è ambientato negli anni Settanta, e il finale in piscina, con tutto il lancio di radioloni e tv in bianco e nero è una chiara metafora del compromesso diabolico tra Osceno e Tecnologico. I personaggi bevono bevande dolciastre e si imbottitiscono di psicofarmaci (anche qui l’ambiguità del farmaco come via di fuga e al contempo strumento di controllo di massa)…quando, improvvisamente, qualcosa prende a seguirli.
E qui si palesa l’estro di Mitchell, vero regista dell’invisibile, maestro del fruscio, orditore di tranelli, mentre la sarabanda sonora e sintetica ripropone una sorta di Canto delle Moire in chiave post-moderna, che ricorda da presso quella iper tecnologica del recente “The Neon Demon”.

Il Tremendo non necessita di castelli diroccati e case infestate; “It Follows” ha il grande pregio di rendere spettrale il quotidiano, misteriosa l’angoscia giovanile, predeterminato il disturbo psichico, e lo fa giocando su pochi fondamentali requisiti: uso consapevole della macchina da presa e descrizione di una gioventù che è già pronta all’avvento degli anni Ottanta, alla plastificazione del Reale.
Un film lento ma inesorabile, che scandaglia il deserto dei luoghi, degli anfratti, la desolazione delle vite e dei rapporti. Da vedere assolutamente