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Francesco Cusa - Official Website - Recensione di "Julieta" di Pedro Almodovar (8)

Recensione di "Julieta" di Pedro Almodovar (8)

2016-06-01

Ho molto amato l’’ultimo film di Pedro Almodovar, “Julieta”, un film che parla del dolore, del rapporto viscerale che investe gli amanti, le madri e le figlie, e di quanto poi questo dolore possa trasmigrare, mutare carsicamente, nutrendosi della speranza, del possesso, dell’egoismo, della malattia.
Tuttavia, ogni cosa, perfino la morte, pare essere un segnale, un ammonimento, un granello infinitesimale di senso che produce bellezza, sempre e comunque, come nello squarcio paesaggistico del subitaneo, strepitoso finale.
Tutta questa sofferenza, a tratti straziante, è narrata come in contrappunto, nella delicata danza dei flashback, diretta con classe e toni da operetta, che cela il racconto intimo e sussurrato, scritto (tutto il film è nella lettera di Julieta) con grafia sofferta ma decisa, la penna usata come stiletto, a scavare solchi nelle cicatrici, a riaprire ferite purulente, a liberare il sangue del sacro, della libagione mestruale che unisce nel fluido madri e figlie e si contrappone alla fallocratica, seminale ricerca di un senso.
E’ il lento inesorabile incedere del tempo che incide come un bisturi sui corpi, mentre passano gli anni e rimane l’assenza, colmata solo dalla follia della brama che acceca i cuori di madri, figli e amanti, nell’eterno ciclo delle responsabilità che si tramutano in colpe, del divenire perenne, intenso, faticoso di cui non rimarrà traccia, se non quella del profumo del nostro passaggio sulla Terra.
L’architettura anatomica di “Julieta” è quella tipica di Almodovar, con i toni stilizzati della recitazione e lo splendore del fuoco delle immagini che pare incendiare ogni scena per colorarla di un ardore metafisico. I legami sono il leitmotiv del film, trame di fili invisibili che intersecano le vite soprattutto nei silenzi, nella solitudine delle case, nel decoro delle malattie, legami che intrecciano vite distanti e prossime senza un'apparente logica, per orditi inconcepibili e quasi disumani che riconducono inevitabilmente ad un’armonizzazione dell’assurdo, alla sublimazione di ogni dolore.
La morte non dà pace ma speranza, speranza in chi rimane a contemplarla: forse questo è il messaggio intimo della pregevole opera di Almodovar.