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Francesco Cusa - Official Website - La recensione di "Lui è tornato", il discusso film su Hitler di David Wendt (9)

La recensione di "Lui è tornato", il discusso film su Hitler di David Wendt (9)

2016-05-03

Tralascerei di discutere dei dettagli del film, perché è esso stesso un “soggetto critico”, aperto polisemicamente alle interpretazioni più varie e antitetiche. Del resto non ho letto il libro, e dunque azzardo ipotesi che forse sono già del testo e non portato originale del film. Certamente Wnendt ha una geniale intuizione: quella di creare un soggetto filmico a metà tra la fiction e il documentario (molte scene sono delle vere e proprie “candid camera”), e il processo di identificazione con l’icona-attore-Hitler rivela molti aspetti interessanti proprio grazie a questo espediente. Tra questi ometto di analizzare i più scontati: su tutti il fatto che molta gente si accosti al personaggio in maniera nostalgica, manifestando più simpatie che indignazioni (sorprendersi di questo dopo la recente messa a Catania, con chierichetto e fedeli a salutare con il saluto romano, è da sciocchi). Il cuore del “problema” è, a mio avviso, espresso dal fatto che l’Hitler di “Lui è tornato” dice molte cose giuste e condivisibili. In molti frangenti mi sono ritrovato a sorridere di gusto per questo paradossale gioco seduttivo, giacché l’orrore mediatico spesso supera, e di gran lunga, quello storico del tabù nazista, quantomeno nel triste scenario del nostro “tempo breve”, nella riproposizione impietosa del confronto tra il delirio di onnipotenza del tiranno e la soporifera vita di milioni di esseri parcheggiati davanti a un monitor. Di fronte alle conquiste delle tecnologia, come non essere in sintonia con l’indignazione di Hitler, col suo far notare quanto l’uso del mezzo televisivo sia prevalentemente teso alla fruizione di trasmissioni di cucina? (sublime la candid camera sulla ricette vegane dei due nazisti).
Wnendt, a dispetto delle sue dichiarazioni di facciata, disegna un percorso narrativo in cui tramite Hitler, il mondo brutale del secolo scorso viene declinato in una prospettiva paradossalmente più “antropica” rispetto a quella di questa società decadente del consumo. Pur nella sua evidente aberrazione, l’uomo-Hitler appare per lunghi tratti meno scisso dal disegno panteista, anche se certamente aderente alla logica del dominio dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura. Il che rappresenta un paradosso solo apparente, in quanto il raffronto tra il recente passato e il presente si palesa proprio secondo una prospettiva storica: da un lato la necessità di dissolvere il mito, la religione in chiave illuministica, “sadiana”, dall’altro l’inerzia, l’acquiescenza di una massa orwelliana priva di “coscienza”. Volendo esagerare, Wendt offre una prospettiva deleuziana nello scontro-incontro tra Hitler e il “mondo orwelliano”, ove il sadico tiranno domina pur se depotenziato dal masochismo della società dei consumi che finisce col fagocitare l’“imago” del nazista per mezzo del cortocircuito della riproducibilità seriale.

L’icona di Hitler, la sua irruzione sul piano della nostra realtà, produce un processo di azzeramento della memoria storica nella collettività a seguito del suo proprio medesimo “avvento”. Il film mostra l’atto progressivo del processo di depotenziamento del tabù nelle società di consumo. Tramite il “ready made”, il calco caricaturale denso di significati e magnetismo simbolico del tiranno sterminatore viene progressivamente a sbiadirsi e a perdere potenza, immerso com’è nel giogo mediatico del suo stesso “successo”. Non inganni il finale e il suo maldestro ripiegamento. Non c’è fiction in questa illimitata “mise en abyme”, ché altrimenti dovremmo considerare il cornetto inzuppato nel cappuccino dell’avventore come un non-fatto, un mero sogno di Nanni Loy.

E invece è tutto “vero” nell’epoca della riproducibilità dell’opera d’arte, per parafrasare Benjamin. Il legame con Hitler non può e non deve essere reciso, e la sua morte non può darsi se non tramite un paradossale processo di inversione che prevede la liberazione del tabù nel riferimento storico contestuale.
Nessuna legge può estirpare l’orrore. Hitler “muore” nella sua demistificazione, nel suo naturale processo di dissolvimento. La condanna viceversa cristallizza il tiranno, lo rende eterno, e finisce col realizzare il suo reale intento: la nuova mitizzazione. Questa la lezione che ho tratto dalla visione di questo film-esperimento, da vedere e rivedere più volte.

LUI E’ TORNATO (Germania, 2016)
di David Wnendt
con Oliver Masucci, Fabian Busch, Christoph Maria Herbst, Katja Riemann, Franziska Wulf
VOTO Il Grandangolo No! : 9
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