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Francesco Cusa - Official Website - Recensione de "Le Confessioni" di Roberto Andò (5)

Recensione de "Le Confessioni" di Roberto Andò (5)

2016-04-26

In questo suo ultimo lavoro, Roberto Andò pare uno scolaro alle prese con lo svolgimento di un tema: Il G8 e la metafisica dell’umanesimo contemporaneo. Intendiamoci: il progetto è lodevole, nobili le intenzioni, di pregio il cast, ma ciò che rende scadente il prodotto è, appunto, lo svolgimento. Andò ci opprime e mortifica a colpi di didascalie, ci ammazza di didascalie, ci soffoca di didascalie.
– Il tempo non esiste è una variabile dell’anima/Il denaro crea il tempo.
A contrapporsi sono l’etica antroposofica del monaco Salus (Servillo) ed il cinico calcolo speculativo di Daniel Roché (Auteuil), direttore del Fondo Monetario Internazionale, alla disperata ricerca di una “confessione” impossibile, di una legittimazione spirituale che non può darsi. Andò affronta la tematica con fare da social network, radicalizzando e stilizzando fino alla nausea le tipologie umane, scavando poco sulla natura intima dell’essere e dei protagonisti in scena.
– Non ho ancora capito che tipo di prete lei sia/Neanche io.
Lo iato tra i “due mondi” è figlio di una cosmogonia da gioco di ruolo, e il regista aderisce fino all’inverosimile a questa idea di affresco, di illustrazione da trattato seicentesco, de-privandoci, per le ragioni di tale confezione, financo della nostra capacità di indignarci.
– La democrazia è una menzogna. I parlamenti sono retti da anime morte. Crimini. Riciclaggio. Gli uomini di oggi se sono abili riescono ad accumulare la stessa quantità di denaro che in altri tempi si riusciva a creare in tre o quattro generazioni.
L’osceno è effettivamente questo mondo malato, in cui le banche rappresentano la versione moderna delle società segrete e in cui la sovranità degli stati è umiliata dal profitto e dagli interessi delle oligarchie dominanti, ma la rappresentazione da sussidiario de “Le Confessioni” finisce col fornire paradossale argomenti alla causa del FMI. L’impianto ieratico di tutta l’opera, che da un lato è funzionale alla narrazione degli eventi di questo “simposio”, finisce col divenire greve fardello per lo spettatore, alla ricerca di un guizzo, di un momento di rottura con i fatti.
“Non c’è alcuna utilità nel male. Ci sono fallimenti molto più grandi di quelli contabili”, afferma il monaco Salus, ma poi Andò ci piazza l’uccello raro che svolazza e canta una volta all’anno e il cane “Bernardo” (occhio che San Bernardo è il simbolo di certa massoneria, verrebbe da suggerire ad Andò) che segue il cammino francescano della vita solitaria, dell’ascesi e del silenzio, e a noi scappa un moto di pacata insofferenza (pacata, a tono con il film, per carità!).
Insomma, il cane che irrompe nella stanza dei bottoni, ringhia contro tutti i banchieri e fa una “scelta etica”, francamente non è cosa che si possa sostenere.
Così si procede per massime e citazioni bibliche secondo un impianto dialogico che alla lunga stanca.
Eppure c’erano tutti gli elementi per trarne un buon film da questo bel proposito; purtroppo, o per fortuna, senza “appeal” non si va da nessuna parte e certamente non si va oltre il buon compitino.
– Che cosa significa distruzione creativa? Vuol dire che l’economia per crescere deve prima distruggere. L’incontrollabilità del sistema è il dato di cui si basano gli economisti.
Questo dialogo estrapolato dal film poteva essere il presupposto per un affresco delle vicende del nostro tempo. Peccato.