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Francesco Cusa - Official Website - Recensione di "“Irrational Man” di Woody Allen (5)

Recensione di "“Irrational Man” di Woody Allen (5)

2015-12-28

Cominciamo col dire che non bastano un bel cast e una tematica superficialmente sofisticata per fare un bel film. Siamo abbastanza stanchi di questo perenne “memento mori”, del disagio esistenziale viralizzato nel tempio borghese, soprattutto poi quando, per dar voce a tal “mal de vivre”, viene evocata la figura di Sua Maestà Il Filosofo. Ahinoi, quanta vertigine separa questa opera dal ritmo pulsante della vita, la didascalia di tale dramma artificioso, messo in piedi maldestramente e con una trama che non regge, essendo carta da parati tirata su a distrarre, a ricoprire i buchi e le crepe della parete corrosa.
Il paradosso è che il cantore di tale accidia, di irrazionale non ha proprio nulla; sembra il perfetto ideale huysmaniano dell’eroe borghese mascherato e perfino la morte giunge telefonata, come da “Prontuario del Perfetto Paradosso”.
È in buona sostanza la materia del fascinoso, dell’appeal dei due protagonisti a tenere su il baracchino, questo sempiterno “dejà vu” del regista newyorkese, il quale oramai ha la necessità di fare cinema come i suoi coetanei di riscaldare la borsa dell’acqua calda (rimaniamo su territori romantici che è meglio, giacché parlare di termocoperta stonerebbe in questa recensione).
Abbiamo inteso: Woody Allen è il nuovo Andy Warhol 2.0 e genera copie del suo stesso cinema, repliche dei suoi successi in chiave soft, edulcorata. E’ un cinema che non graffia più come sapeva fare un tempo, alla schiena, subdolamente, tra una risata amara e uno squarcio registico di pregevole fattura.
La “freschezza” di un Manoel de Oliveira è qualità rara e questo è cinema confezionato che non mira più neanche al botteghino, quanto piuttosto all’iterazione di un capriccio senile. Qualcuno dovrebbe intimare il grande Woody a farla finita coi film in serie, come unico e ultimo atto di sincero amore