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Francesco Cusa - Official Website - Recensione di “Crimson Peak” di Guillermo Del Toro (8)

Recensione di “Crimson Peak” di Guillermo Del Toro (8)

2015-10-27

Che spettacolo per gli occhi. Quante raffinate citazioni (da “I Diavoli” passando per “I Duellanti”). Una fiaba crudele e al contempo deliziosa, in cui l’Atroce e il Sublime prendono a danzare, come nei racconti di Poe e in certe fiabe dei Fratelli Grimm.
Sarà che adoro Guillermo Del Toro e tutto il suo cinema (in particolare “Il Labirinto del Fauno”), ma la sua ultima opera, “Crimson Peak”, è un gioiello che rasenta il preziosismo e che si apre come una scrigno incantato agli occhi dello spettatore.
Del Toro sembra incarnare il risvolto “senex” di Tim Burton, e rispetto a quest’ultimo, forse, è più classicamente maestro del racconto gotico. Sempre alla ricerca di una fascinazione del grottesco, Del Toro possiede alcune rare qualità: dei poderosi artigli per scavare dentro al mito, l’inclinazione naturale (e dunque non occasionale) verso una “poetica del mostruoso”, la sofisticata capacità affabulatoria; tutte qualità che attestano un evidente scarto con gli altri epigoni del genere.
Certamente non stiamo parlando di un “regista del sentimento” – lo diciamo con serenità ai cavillatori di professione, spesso fuori fase rispetto all’oggetto estetico d’indagine; e dunque appaiono del tutto fuorvianti certe critiche giacché “Crimson Peak non è una storia d’amore, come non lo sono i romanzi della protagonista, Edith Cushing, che di fatto scrive di “storie di fantasmi”. Pare ribadirlo a più riprese il regista e per bocca della sua eroina, forse a monito d’una dichiarazione estetica d’intenti.
Interessante il processo di corruzione della protagonista che finisce con l’assumere le sembianze di una sorta di Mia Farrow sconvolta dalle possessioni, dagli avvelenamenti progressivi e altrettanto pregnante è il lavoro che Del Toro realizza sulle “maschere”, sulle metamorfosi dei personaggi che assumono fattezze sempre più malsane col farsi della trama.
“Crimson Peak” è una sorta di “Rovina della Casa degli Usher” resa in chiave favolistica (il lieto fine è emblematico in tal senso); un film dalle tinte forti che celebra il Crudele sotto mentite spoglie e che ricongiunge lo spettatore alla dimensione spietata del sogno, alle asperità della bellezza, alla brutalità della vendetta. Su tutto campeggia la dimensione ultraterrena del Tremendo.

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