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Francesco Cusa - Official Website - Recensione di “Leviathan” di Andrey Zvyagintsev (9)

Recensione di “Leviathan” di Andrey Zvyagintsev (9)

2015-06-05

“Leviathan” di Andrey Zvyagintsev è un film gigantesco che descrive la microstoria politica di un continente del pensiero con lo scopo manifesto di mostrare il mito in tutta la sua immanenza. È un film a tesi: la cornice delle immagini del paesaggio ad aprire e chiudere il teatro delle vicende dell’uomo è una cesura netta, priva di dialettica. Particolari e peculiari vicende, certo, quelle di una area remota del nord della Russia, dell’ex-militare Kolia e della sua famiglia alle prese con un caso tipico, un fatto “dostojevskiano”, un pretesto, il quale a macchia d’olio si spanderà ad avvolgere i personaggi in una prospettiva sempre più assoluta. La sottrazione di ogni scavo psicologico si palesa nella immanenza (relativa) del potere kafkiano di Stato e Chiesa, del Monarca e del Cristo, del sindaco e del prete ortodosso; gli esseri sono mera pulsazione vivida di vita, e ribellarsi significa sprofondare nelle viscere del Leviatano, accostarsi all’assurdo, lottare coi fantasmi del Soggetto, o meglio con la sostanza informe che diventa Soggetto. Era Laclau a far notare che “il linguaggio è un fenomeno stalinista” e che il rituale di stato, la deferenza-adulazione che tiene legata una comunità, la voce neutra e priva di ogni frammento psicologico, rappresenta una dimensione priva di soggetto, una neutralità afferente al linguaggio medesimo.
Laviathan 3
Nel film tutto ciò è rappresentato dall’enorme scheletro del leviatano, Cosa inerte ma “viva” nella sua ineluttabilità. Essa giace sulla spiaggia della comunità quale Significato che sfugge alla simbolizzazione, alla fluttuazione dei significanti che vengono gravitazionalmente espulsi dal Centro. Zvyagintsev sottrae il futuro alla sua storia tramite l’ancoraggio al Leviatano, relega i personaggi in una pantomima in cui perfino la morte è priva di dialettica con la vita (la moglie tradisce e si uccide gettandosi da una scogliera mentre il capodoglio mostra il suo corpo fra le onde).
I fatti della vita, il tradimento dell’amico con la moglie, il figlio abbandonato, la vana lotta per la giustizia, perfino la manifestazione del potere, sono costretti a cedere nella loro sintomatologia; è come se nel suo “farsi” ogni atto venisse a disperdersi e a tornare allo scheletro dell’animale mitologico. Nessuna società può fare una simile esperienza con la morte. La comunità raccontata da Andrei Zvyagintsev è una comunità distante proprio perché troppo contigua alla monumentalità disumana di certa Natura, di certo a qualcosa di non addomesticabile che ci colma di una inquietudine senza oggetto.
Un film di assoluta e rara potenza.

“Leviathan” (Russia, 2014)
di Andrey Zvyagintsev
con Aleksey Serebryakov, Elena Lyadova, Vladimir Vdovichenkov, Roman Madyanov, Anna Ukolova
voto “Il Grandangolo No!”: 9
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