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Francesco Cusa - Official Website - Un mio articolo su Antonio Sanchez per Jazzit.

Un mio articolo su Antonio Sanchez per Jazzit.

2014-10-10

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Francesco Cusa su Antonio Sanchez
«Un batterista completo, totale»

In occasione della cover story dedicata ad Antonio Sanchez (Jazzit 84 settembre/ottobre 2014) abbiamo chiesto ad alcuni batteristi protagonisti del jazz italiano di svelarci il loro pensiero sul musicista messicano.
FRANCESCO CUSA
«Il batterismo di Antonio Sanchez è caratterizzato da tre fondamentali peculiarità: tecnica evoluta e sopraffina, ricerca timbrica di un suono caldo e rotondo, pulsazione marcata, impeccabile. Certamente le sue origini messicane, l’enorme portato di quel bacino di culture che hanno influenzato la sua giovanile formazione (Caraibi, America Centrale), rappresentano il substrato in cui si fonda la sua arte batteristica. Ma non si può certo confinare la cifra stilistica di Sanchez nell’alveo di una generica estetica “latina”. Altrettanto importante, infatti, è la sua anima statunitense, legata intimamente al jazz della tradizione e contemporaneo, a una certa maniera di intendere il tempo e la scansione ritmica, in questo esprimendo una certa contiguità con il batterismo e la ricerca di Ari Hoenig. Una via meno cerebrale e più carnale, altrettanto rigorosa, ma non maniacalmente “poliritmica”. Ciò che colpisce immediatamente nel drumming di Antonio Sanchez è l’assoluto controllo dei rudiments, la naturalezza della loro applicazione sul set secondo differenti livelli di dinamica, con una padronanza davvero eccellente del flusso sonoro. Lo “scavo” indefesso del beat, la scomposizione, il fraseggio di Sanchez rappresentano una costante sfida ai limiti della forma, delle griglie ritmiche e melodiche che vengono sottoposte a un duro lavoro di tenuta. Lo definirei “drumming parossistico”, in senso buono, una via lucidissima e consapevole in cui ogni elemento musicale trova la giusta collocazione nella variazione costante all’interno del beat, che stupisce per inventiva e torrenzialità. Si prenda ad esempio il brano Challenge Within, tratto dall’album “Live In New York”. Qui è possibile confutare quanto l’approccio sincretistico della formazione del batterista messicano sia palese. Si comincia con un mirabile gioco di scomposizioni su piatti, tamburi e cassa, mentre la clave viene costantemente tenuta in ostinato con il piede sinistro (in ciò Sanchez è un maestro), gioco di scomposizioni che prosegue successivamente senza soluzioni di sosta, discostandosi apparentemente dalla pulsazione della clave (che rimane in qualche modo sottintesa) per una fine tessitura ritmica in dialettico interplay con gli altri musicisti. Questa elasticità dell’accompagnamento è funzionale a un processo di tensione-rilasciamento (tipico certamente delle nuove tendenze del jazz contemporaneo) alla creazione di un ipertrofico inasprimento del climax, proveniente dalla lezione di Elvin Jones, e dunque di netta matrice post-coltraniana. Ciò che distingue tuttavia Sanchez da molti altri epigoni della grande tradizione di questo strumento è la peculiarità del suo suono, che spinge su modalità quasi rock, ma preservando certe “rotondità” tipiche del jazz (siamo agli antipodi dalle spigolosità di un DeJohnette, per intenderci). Un batterista completo, totale, che si esprime tra le punte massime dei nuovi maestri dello strumento»