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Francesco Cusa - Official Website - MIO ARTICOLO PER "IL CATTIVISSIMO" SU CULTURA COMMESTIBILE: "Io e Spider Man"

MIO ARTICOLO PER "IL CATTIVISSIMO" SU CULTURA COMMESTIBILE: "Io e Spider Man"

2014-09-06

Quando morì Gwen Stacy, nel mitico numero 133 de L’Uomo Ragno fu un vero e proprio shock. Un trauma che ci colse a tutti "in diretta”. Ovviamente non c'era verso di informarsi altrimenti. Per intenderci, attendevo ore nelle mattinate estive in attesa dei "giornali da Catania". San Pietro Clarenza, ridente paesino etneo. Anni ‘70. L’edicola era una sorta di feritoia che si apriva quale emanazione di un tugurio, ricordo ancora gli odori della colla e delle figurine che stavano appiccicati alle nostre narici per ore. Aspettavamo circumnavigando la via Umberto come mosche nella canicola, in cerca d’ombra. Spirali, cerchi concentrici. Piazza. La sala giochi. Il bar. Poi ancora la sala giochi con il flipper che si doveva prendere a colpi di bacino senza fargli fare tilt (colpi di bacino...eufemismi). I fumetti venivano lanciati poi dal bigliettaio dell'autobus dell'Etna Trasporti. Si sentiva uno strombazzamento - potipotiiii - e una sorta di rumore sordo - stumpf . Io accorrevo trepidante e attendevo lo spacchettamento come il cagnetto la scodella di latte, scodinzolando. Divoravamo quei fumetti, ci immergevamo in letture da marciapiede, ignari delle meraviglie di cui eravamo attorniati, respirando i miasmi di quella città, i fumi neri, i tombini, i dettagli minimi più che i grattacieli attraverso i quali svolazzava il nostro eroe. Ci deliziavamo con le matite di Kirby, Ditko, Sal e John Buscema. Ma quel giorno era diverso. Ci fu uno snip. La tela del ragno non resse e morì Gwen. Come era possibile? Camminavo sgomento nelle mie espadrilles gialle e consunte. Un senso di fine ci colse in una giornata spensierata e di vacanze. Ricordo ancora il sapore aspro dell’estate, il sudore adolescenziale di chi non ha sperimentato il limite della corporeità. Giunse infine la Nemesi sotto forma di turbine furente. Nella canicola arrivò un certo Mario, detto Sandokan, che girava per il paese con una carrozzina da bimbo (ovviamente vuota). Rubò il giornaletto nella controluce del basalto e lo fece in mille pezzi urlando. Poi fuggì via ridendo. Mi sembrò cosa giusta, lo reputai un segno del Destino: non avevo ancora voglia di parlare di fine con la F maiuscola. Ripenso ancora ai ragazzi di quel tempo. Avevano tutti un soprannome. Dei piccoli supereroi: Nuccio Zorro, Carmelo Bau Bau, Orazio Paletta…Venne il tramonto rosso a rosolare ciò che rimaneva di quella mattina fattasi meriggio. Mi tuffai sulla caponata dei miei nonni e per la prima volta notai le crepe sui muri di quella casa antica. Tutto sembrava reggersi a fatica, sul punto di collassare, così improvvisamente. Fuori cantavano le cicale, come se non esistesse nessuna Editoriale Corno. La Luna e le stelle mi apparvero come decorazioni del vintage nel suo farsi.