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Francesco Cusa - Official Website - Intervista per latinista "My Dreams" sul mio romanzo "Vic"

Intervista per latinista "My Dreams" sul mio romanzo "Vic" - il:2021-12-14

https://www.mydreams.it/francesco-cusa-e-il-suo-nuovo-romanzo-dal-titolo-vic/?fbclid=IwAR2EZa2_zR1ru2NAYZM5YrWxsC_sM9q0INSarP5313Qkv4fBims0JWl9yt4

È disponibile in libreria e negli store online Vic, il nuovo romanzo di Francesco Cusa, pubblicato da Algra Editore, con la prefazione di Massimo Cracco e la postfazione di Giuseppe Paolo Carbone.

Il protagonista del romanzo è un ragazzo-uomo maturo-anziano che vive la sua vita di scrittore a Cotrone, un paese immaginario del Sud dell’Italia. L’autore così racconta: «Il personaggio rappresenta il trauma irriducibile, il caso clinico principe oggetto delle ricerche freudiane. Fortunatamente a lui non interessano tali indagini giacché egli rappresenta il corto circuito di ogni narrazione clinica volta all’individuazione del caso topico. In questo senso Vic nasce per ridare all’Occidente l’aura mitica della legge di natura che prevale rispetto alla legge morale; in buona sostanza per restituire l’uomo alla sua sacralità».

Francesco Cusa e il suo nuovo romanzo dal titolo “Vic” (copertina vic di francesco.cusa 200x300)

La copertina del libro è un disegno del musicista e filosofo Pier Marco Turchetti. L’autore del romanzo in proposito ha detto: «Quando me l’ha mostrata ho sentito da subito che si trattava di quella giusta. Era un suo lavoro di molti anni fa che, a mio avviso, riassume nello spazio di un disegno tutta la vicenda umana e sovrumana del romanzo”.

Il romanzo, ben scritto ed orchestrato è una sorta di diario intimo e surreale scritto sia in prima che in terza persona, popolato da personaggi quanto mai atipici ed estremi, calati in una realtà provinciale densa di pregiudizi e stonature.



Molte donne compaiono a cominciare dalla madre di Vic, Giuditta Criscimanno, per la quale il protagonista non nutre alcun affetto filiale a cui seguono sua zia Melania e Sally e Luisella con le quali Vic ha un rapporto molto contrastato intriso di amore e odio.

Per Vic conta forse maggiormente il sentimento di amicizia che lo lega a personaggi maschili che rasentano modelli estremi quali il suo stesso padre, il Piccolo Priebke, Marcello, Gianni, Vittorino ovvero lo scemo del paese.

Spesso il protagonista confonde personaggi reali ed immaginari, vivi e morti, spettri e spiriti che potrebbero essere frutto della sua immaginazione o proiezioni della sua psiche fragile e malata.

Numerosi i tentativi di incipit del romanzo stesso, sottoposti al giudizio di un fantomatico Editore che, a seconda dei casi, lo incoraggia o lo stronca. E sulle vicende narrate da Vic incombe una provincia ottusa, desolata, informe e perversa.

Lei è un rinomato batterista e compositore. Come e quando si è avvicinato alla scrittura?

«Ho sempre scritto, fin da giovane. Anche se sono più conosciuto come musicista, questa dello scrittore è per me divenuta una professione da circa una decina di anni, quando ho deciso di rendere pubbliche le mie opere letterarie sotto forma poetica, saggistica, poi esplorando l’aforisma, il racconto ed il romanzo. A spingermi sono stati molti amici e conoscenti. Se ho un rimpianto, forse, è quello di non aver cominciato prima. Poi, certo c’è tutta la mia carriera da musicista, critico letterario e cinematografico ecc».

Quali autori italiani o stranieri l’hanno affascinata?

«Ne cito alcuni limitandomi ai romanzieri: De Sade, Hugo, Bernhard, Dante, Carver, Roth, Dostoevskij, Nabokov, Gadda, Proust, Flaubert, Kafka, Landolfi, ecc. Ultimamente leggo molta più saggistica, e mi interesso di filosofia ed esoterismo: Wirth, Sloterdijk, Zizek, Knight, Preve, Byung-chul Han, Spinoza, Thoreau, ecc».



Il suo ultimo romanzo si intitola Vic. Ce ne vuole raccontare brevemente la genesi?

«I personaggi di solito mi si presentano e impongono la loro necessità ad esistere, ad essere partoriti. Vic è un ragazzo-uomo maturo-anziano che vive la sua schizofrenica vita di scrittore in un luogo immaginario del Sud dell’Italia: Cotrone. È un personaggio che rappresenta il trauma irriducibile, il caso clinico principe oggetto delle ricerche dei freudiani. Fortunatamente lui se ne sbatte di tali indagini, giacché egli rappresenta il cortocircuito di ogni narrazione clinica volta all’individuazione del caso topico, del “problema” su cui orchestrare la riuscita di un progetto teorico. In questo senso Vic nasce per ridonare all’Occidente l’aura mitica della legge di natura, ciò che prevale rispetto alla legge morale; in buona sostanza per restituire l’uomo alla sua sacralità. Forse è giunto per consentirmi di esplorare alcuni aspetti oscuri della mia coscienza».

Chi o cosa l’ha ispirata nella creazione di questo personaggio grottesco e surreale?

«Come sempre nelle mie opere, sia letterarie che musicali, cerco di muovere le coscienze verso aspetti primari del fondamento dell’essere. Che un romanzo nel 2021 posta destare ancora fastidio, disturbo, perturbamento, trovo sia paradossalmente sano, nella società della prestazione, che produce per converso legioni di depressi, di assuefatti che vegetano ai margini di una protesta che non può più esprimersi in un limbo di soggettività deprivate di immaginario e visionarietà. In questo senso Vic è un personaggio negativo che si oppone alla positività priva di limiti (e perciò logorante) della normalizzazione, l’ultimo baluardo identitario contro l’omologazione».

Quanto di lei c’è in Vic?

«Tutto, poco, niente. Vic si muove nel paradosso della sua vita sregolata e la sua traiettoria incrocia quella del microcosmo di Crotone, invischiando in una ragnatela tutti i personaggi del romanzo. In un certo senso egli è una sorta di santo, di martire, e come tutti i martiri è spinto fino agli estremi del sacrificio in virtù di una visionarietà che non conosce, appunto, limiti terreni. Cotrone è un non-luogo, una specie di realtà morfologica alienata, un limbo posto fuori o sul limitare del Divenire in cui si muovono i protagonisti del romanzo (della mente di Vic, di quella dell’autore). È tutta una periferia di qualcosa, una palude metafisica in cui i morti paiono più vivi dei vivi. Forse mi riconosco in questa esplorazione del limite, inteso più in chiave spirituale che materico-corporale, nella costante ricerca della relazione tra mondo dei vivi e mondo dei morti».

Le figure femminili che compaiono nel romanzo (Giuditta, zia Melania, Sally, Luisella) sono esasperate, sopra le righe. Qual è il vero rapporto di Vic con le donne? E lei, Francesco cosa pensa delle donne?

«Delle donne penso più o meno quel che penso degli uomini. Dipende, naturalmente, con chi mi trovo ad aver a che fare. Lo sguardo del/sul mondo femminile di Vic è uno sguardo proustiano, autocentrato. Il mondo di Vic non prevede l’Altro se non come eterna riproposizione del Sé, di mistica, costante autoanalisi che inferisce e determina l’incontro con gli altri esseri che vivono in qualità di ombre e parvenze».

Vic sente prepotente il valore dell’amicizia tanto da frequentare anche Vittorino, lo scemo del paese immaginario di Cotrone. Lei crede nel valore dell’amicizia?

«Penso sia uno dei valori più nobili che ci è dato di sperimentare in vita. L’amicizia è per Vic forse l’unico elemento che lo tiene aggrappato al mondo fisico, che riesce ancora a contenere la follia entro argini tollerabili. Gli amici veri di Vic sono i vinti, i reietti, i “ragazzi fuori”, la “forza del passato” pasoliniana».

A quale genere letterario ascriverebbe il suo romanzo?

«Romanzo d’appendicite».

Quale capitolo o personaggio ha richiesto una maggiore attenzione durante la scrittura? E a quali di essi si sente più legato per affinità elettiva?

«Nessuno in particolare – e con ciò rispondo ad entrambe le domande – essendo il mio modo di scrivere legato al flusso. Ogni capitolo è una parte fondamentale del puzzle. Non c’è un centro, un focus, neanche nel finale. Ci sono stati, certo, vari punti nodali; su tutti il continuo sfalsamento tra la prima e la terza persona. Inoltre, tenere insieme tutti i pezzi di questo che è un vero e proprio puzzle psicologico, è stata impresa ardua. Ma sono molto soddisfatto e sorpreso del risultato finale, dell’architettura complessa ma al contempo scorrevole del romanzo. Quella dello sfalsamento dialettico tra narrazione in prima e in terza persona è stata una scommessa, a mio giudizio, vinta».

Il romanzo contiene molti incipit che Vic sottopone al suo Editore. Ne scriverebbe uno, brevissimo, per Mydreams?

«Mi svegliai una notte di soprassalto. Erano le quattro. Gli occhi che mi fissavano nel buio non erano quelli del mio gatto».

Cosa vuole trasmettere questo romanzo ai lettori?

«Come sempre nelle mie opere, sia letterarie che musicali, cerco di muovere le coscienze verso aspetti primari del fondamento dell’essere. Che un romanzo nel 2021 posta destare ancora fastidio, disturbo, perturbamento, trovo sia paradossalmente sano, nella società della prestazione, che produce per converso legioni di depressi, di assuefatti che vegetano ai margini di una protesta che non può più esprimersi in un limbo di soggettività deprivate di immaginario e visionarietà. In questo senso Vic è un personaggio negativo che si oppone alla positività priva di limiti (e perciò logorante) della normalizzazione, l’ultimo baluardo identitario contro l’omologazione».