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Francesco Cusa - Official Website - Recensione del concerto: Francesco Cusa & The Assassins live al Barazzo (Bologna)

Recensione del concerto: Francesco Cusa & The Assassins live al Barazzo (Bologna) - il:2015-03-13

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Scritto da Stefano Radaelli on 13 Marzo 2015. Postato in Recensione concerti
Il breve tour di presentazione del nuovo disco di The Assassins – "Love", in uscita per Improvvisatore Volontario – ha fatto tappa a Bologna lo scorso 20 febbraio con uno spettacolare concerto al Barazzo Live di via del Pratello, punto di riferimento imprescindibile per gli amanti del jazz e della musica improvvisata nel capoluogo emiliano.

The Assassins Il breve tour di presentazione del nuovo disco di The Assassins – "Love", in uscita per Improvvisatore Volontario – ha fatto tappa a Bologna lo scorso 20 febbraio con uno spettacolare concerto al Barazzo Live di via del Pratello, punto di riferimento imprescindibile per gli amanti del jazz e della musica improvvisata nel capoluogo emiliano.
Il commando capitanato dal formidabile batterista Francesco Cusa ha così potuto compiere anche qui l'"omicidio rituale", rigorosamente mirato, che, a voler prendere sul serio il nome della band, sembra rappresentare la sua stessa ragion d'essere. Vittime predestinate di questo assassinio simbolico sono sempre ed invariabilmente loro: la Banalità e il Già-Sentito.
Per i progetti ideati da Cusa sarebbe un'operazione sterile e ingenerosa quella di scindere il fatto strettamente musicale dal significato più ampio che la musica assume in rapporto alla cultura che la produce e all'immaginario che la alimenta. La definizione forse più azzeccata del lavoro di questo musicista, didatta e scrittore (una sua raccolta di racconti, "Novelle crudeli", è stata recentemente pubblicata da Eris) l'ha offerta questo articolo, che non esita a presentare Cusa come un "agitatore culturale" a tutti gli effetti, dotato del raro talento che consiste nell'unire una magistrale padronanza tecnica dello strumento e una profonda familiarità con gli idiomi musicali più disparati alla capacità di dialogare con l'universo culturale nel suo insieme.
La musica proposta da The Assassins, costituita dalle intricate e luciferine composizioni dello stesso Cusa, veicola in modo impeccabile questa ispirazione di fondo. Da un lato, l'utilizzo delle fonti più disparate – dal jazz alla musica indiana, passando per l'hard rock e l'elettronica – riflette un universo simbolico eterogeneo, frammentato, irreparabilmente a-centrico. Dall'altro lato, la complessa interazione dialettica tra composizione e improvvisazione, caratterizzata da uno sviluppo ricco di pathos narrativo e colpi di scena, viene indirizzata dal batterista catanese, durante tutta la performance, con un rigore quasi zen – se non, a tratti, con il piglio di un moderno stregone-alchimista alle prese con storte e alambicchi ricolmi di suono e ribollenti di incastri poliritmici.
Se le continue trasmutazioni e trasfigurazioni sul fronte ritmico rappresentano la "mente" di questa operazione (da intendersi nel senso del "pensiero originario", o "ennoia", a cui rimanda la tradizione gnostica), l'"anima" sembra risiedere invece nella scelta di impiegare in modo creativo e originale il suono dell'organo Hammond per tradurre la pulsazione sottostante negli articolati riff che animano le improvvisazioni dei fiati.
In greco antico, il termine utilizzato per indicare l'anima è "pneuma". E quale strumento, meglio dell'organo, potrebbe farsi carico di questa valenza "pneumatica" del suono? Nel caso specifico dell'Hammond, all'aria insufflata dai mantici si sostituiscono le diavolerie dell'elettronica, ma l'effetto che ne risulta è pur sempre quello. È poi lasciato all'abilità, alla precisione e alla fantasia di Giulio Stermieri il compito di trasformare il "soffio" così prodotto in un vento infuocato, inesorabile, distruttivo e rigenerativo al tempo stesso.
Sulla spinta di queste folate apocalittiche, alimentate dagli intrecci della batteria e dell'organo, i fiati entrano finalmente in scena per portare il rituale a compimento. Grazie ad una notevole padronanza tecnica e ad un abile utilizzo dell'elettronica, la tromba di Flavio Zanuttini – distorta, reinventata, moltiplicata in forme sempre nuove e sempre diverse – colpisce dritta al cuore ogni "ragionevole aspettativa" che si possa nutrire riguardo al suono dello strumento, facendo sprofondare l'udito in un conturbante gioco di specchi in cui ogni punto di riferimento è precario. Il formidabile sax di Cristiano Arcelli – uno dei contraltisti più brillanti in circolazione nel panorama musicale italiano – attinge con coscienza enciclopedica all'intera tradizione jazzistica, utilizzandone i numerosi espedienti per creare un vortice espressivo al cui fascino vertiginoso e alla cui energia trascinante è impossibile sottrarsi.
È quindi un intero universo culturale ad essere messo a nudo, smantellato pezzo per pezzo, rivoltato come un guanto, beffardamente esibito in tutto il suo orrore. Un universo fatto di aspettative e convinzioni più o meno consolidate su cos'è "jazz" e cosa non lo è (si veda, in proposito, la geniale fascetta che accompagna il primo disco, "The Beauty and the Grace", Improvvisatore Involontario, 2012), alimentato da un immaginario asfittico, attraversato in lungo e in largo dagli istinti sociopatici indotti dalla compulsività consumistica e dalle mitologie tossiche che quest'ultima nutre incessantemente ("Coca Colon" e "Orrore dentro alla coperta elettrica" sono i titoli di due dei brani contenuti nel primo disco).
I frammenti dispersi che, a detonazione avvenuta, galleggiano nello spazio, ancora bruciacchiati e sfrigolanti per il contatto con il vento incandescente, vengono quindi rimontati in un'instancabile lavoro di bricolage. Il risultato è una musica complessa, ricca, mai scontata e mai banale, capace di valorizzare al meglio i materiali di risulta del retaggio musicale novecentesco perché di questo retaggio recupera non la "lettera morta" (che nella cosmologia "assassina" si manifesta, ad esempio, nelle fisionomie grottescamente deformate che caratterizzano molto "giezz" nostrano), ma piuttosto lo spirito, che si manifesta nella ricerca instancabile, sempre sul filo del paradosso, di nuove possibilità di espressione e di racconto.